In love with Shakespeare (14)


Sonnet LXVI

Tired with all these, for restful death I cry,
As to behold desert a beggar born,
And needy nothing trimm'd in jollity,
And purest faith unhappily forsworn,
And gilded honour shamefully misplaced,
And maiden virtue rudely strumpeted,
And right perfection wrongfully disgraced,
And strength by limping sway disabled
And art made tongue-tied by authority,
And folly, doctor-like, controlling skill,
And simple truth miscalled simplicity,
And captive good attending captain ill:

   Tired with all these, from these would I be gone,
   Save that, to die, I leave my love alone. 



Sonetto 66
 
Stanco di tanti eventi, pace alla morte invoco.
Come vedere il Merito viver mendicando
e amorfa Nullità ornata d'eleganza
e la più pura Fede iniquamente rinnegata

e splendidi Onori indegnamente conferiti
e l'innocente Virtù volgarmente prostituita
e la retta Perfezione indegnamente diffamata
e Forza disarmata da Poteri vacillanti

e Arte al silenzio stretta dalle Autorità
e Follia, fatta dottore, controllar l'Ingegno
e pura Verità con Semplicità confusa
ed il Bene schiavo servir il comandante Male.

Stanco di tutto questo, vorrei andarmene lontano,
se non ché morendo, lascerei il mio amore solo. 

Traduzione Patrizio Sanasi
 


Non andrò lontano, come vorrebbe fare il mio amato Shakespeare, andrò solamente un po' in Giro ...
Un abbraccio grande a tutti i miei cari amici di qui, un caro saluto a Mansardo e un bacio per Sile... non dimenticatemi, ci rivediamo presto!
Un sorriso, Red

I would like to thank somebody who reads me from the United States ...thank you for doing this each and everyday! I shall be back soon...I hope you'll be back too!
Un sorriso, Red

William Shakespeare, Sonnet 66
Traduzione: Patrizio Sanasi

"In corpo e poesia..."



























Autotomìa

In caso di pericolo, l’oloturia si divide in due:
dà un sé in pasto al mondo,
con l’altro fugge.

Si scinde d’un colpo in rovina e salvezza,
in ammenda e premio, in ciò che è stato e ciò che sarà.

Nel mezzo del suo corpo si apre un abisso
con due sponde subito estranee.

Su una la morte, sull’altra la vita.
Qui la disperazione, là la fiducia.

Se esiste una bilancia, ha piatti immobili.
Se c’è una giustizia, eccola.

Morire quanto necessario, senza eccedere.
Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato.

Già, anche noi sappiamo dividerci in due.
Ma solo in corpo e sussurro spezzato.
In corpo e poesia.

Da un lato la gola, dall’altro il riso,
leggero, presto soffocato.

Qui il cuore pesante, là non omnis moriar,
tre parole piccole, soltanto, tre piume d’un volo.

L’abisso non ci divide.
L’abisso ci circonda.

Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska, Autotomìa
©Libri Scheiwiller 2003, Wislawa Szymborska
Traduzione Pietro Marchesani

Oír la noche inmensa... sentire la notte immensa...

Poema XX

Puedo escribir los versos más tristes está noche.
Escribir, por ejemplo: «La noche esta estrellada,
y tiritan, azules, los astros, a lo lejos».
El viento de la noche gira en el cielo y canta.

Puedo escribir los versos más tristes esta noche.
Yo la quise, y a veces ella también me quiso.
En las noches como ésta la tuve entre mis brazos.
La besé tantas veces bajo el cielo infinito.
Ella me quiso, a veces yo también la quería.
Cómo no haber amado sus grandes ojos fijos.

Puedo escribir los versos más tristes esta noche.
Pensar que no la tengo. Sentir que la he perdido.
Oír la noche inmensa, más inmensa sin ella.
Y el verso cae al alma como al pasto el rocío.
Qué importa que mi amor no pudiera guardarla.
La noche está estrellada y ella no está conmigo.

Eso es todo. A lo lejos alguien canta. A lo lejos.
Mi alma no se contenta con haberla perdido.
Como para acercarla mi mirada la busca.
Mi corazón la busca, y ella no está conmigo.
La misma noche que hace blanquear los mismos árboles.
Nosotros, los de entonces, ya no somos los mismos.

Ya no la quiero, es cierto, pero cuánto la quise.
Mi voz buscaba el viento para tocar su oído.
De otro. Será de otro. Como antes de mis besos.
Su voz, su cuerpo claro. Sus ojos infinitos.
Ya no la quiero, es cierto, pero tal vez la quiero.
Es tan corto el amor, y es tan largo el olvido.

Porque en noches como esta la tuve entre mis brazos,
mi alma no se contenta con haberla perdido.

Aunque éste sea el último dolor que ella me causa,
y éstos sean los últimos versos que yo le escribo.

Pablo Neruda

Per Antòniu. 



 


Poema XX

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Scrivere, per esempio. "La notte è stellata,
e tremano, azzurri, gli astri in lontananza".
E il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Io l'ho amata e a volte anche lei mi amava.
In notti come questa l'ho tenuta tra le braccia.
L'ho baciata tante volte sotto il cielo infinito.
Lei mi ha amato e a volte anch'io l'amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi stanotte.
Pensare che non l'ho più.  Sentire che l'ho persa.
Sentire la notte immensa, ancor più immensa senza di lei.
E il verso scende sull'anima come la rugiada sul prato.
Poco importa che il mio amore non abbia saputo fermarla.
La notte è stellata e lei non è con me.

Questo è tutto.  Lontano, qualcuno canta.Lontano.
La mia anima non si rassegna d'averla persa.
Come per avvicinarla, il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.
La stessa notte che imbianca gli stessi alberi.
Noi, quelli d'allora, già non siamo gli stessi.

Io non l'amo più, è vero, ma quanto l'ho amata.
La mia voce cercava il vento per arrivare alle sue orecchie.
D'un altro.  Sarà d'un altro.  Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro.  I suoi occhi infiniti.
Ormai non l'amo più, è vero, ma forse l'amo ancora.
E' così breve l'amore e così lungo l'oblio.

E poiché in notti come questa l'ho tenuta tra le braccia,
la mia anima non si rassegna d'averla persa.
Benchè questo sia l'ultimo dolore che lei mi causa,
e questi gli ultimi versi che io le scrivo.


Photo: Goldmund100  via WikimediaCommons
 Pablo Neruda, Poema XX
da Veinte Poemas y una Canción Desesperada
Il Poema XX letto da Alex Ubago

Per orso...


Una canzone d'amore per il mare, a 78 giri, dolce e un po' dimenticata...e il mio mare... goffo tentativo di ricambiare la bellezza e la dolcezza delle tue immagini e del tuo blog.
Ciao frà...

Photo: Twice25  e Rinina25
via WikimediaCommons
Charles Trenet, La mer
Video: radiogram56

C'è una marea nelle faccende degli uomini...


There is a tide in the affairs of men
Which, taken at the flood, leads on to fortune;
Omitted, all the voyage of their life
Is bound in shallows and in miseries.
On such a full sea are we now afloat;
And we must take the current when it serves,
Or lose our ventures.

William Shakespeare



C'è una marea nelle faccende degli uomini 
che, colta al suo apice, conduce alla fortuna; 
una volta persa, tutto il viaggio della vita 
è destinato a miserie e avversità. 
In questo mare aperto noi ora siamo a galla, 
e dobbiamo seguire la corrente quando serve, 
o perdere le nostre imprese.

Claude Monet, Bassa marea a Varengeville
William Shakespeare, Julius Caesar, Atto IV, Scena III
Sir John Gielgud, Video: poetictouchannel
Traduzione: internet

...segretamente, tra l'ombra e l'anima.



Soneto XVII

No te amo como si fueras rosa de sal, topacio
o flecha de claveles que propagan el fuego:
te amo como se aman ciertas cosas oscuras,
secretamente, entre la sombra y el alma.

Te amo como la planta que no florece y lleva
dentro de sí, escondida, la luz de aquellas flores,
y gracias a tu amor vive oscuro en mi cuerpo
el apretado aroma que ascendió de la tierra.

Te amo sin saber cómo, ni cuándo, ni de dónde,
te amo directamente sin problemas ni orgullo:
así te amo porque no sé amar de otra manera,

sino así de este modo en que no soy ni eres,
tan cerca que tu mano sobre mi pecho es mía,
tan cerca que se cierran tus ojos con mi sueño.

Pablo Neruda


Sonetto XVII

Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.

T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare in altra maniera

se non  in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.



Photo: Hamachidori, via Wikimedia Commons
Pablo Neruda, Soneto XVII
da Cien sonetos de amor 
Pierre Joseph Redouté, Rosa Damascena Celsiana 
traduzione: internet

...le parole dell'anno a venire attendono un'altra voce.


Little Gidding 
II

For last year's words belong to last year's language
     And next year's words await another voice.
But, as the passage now presents no hindrance
   To the spirit unappeased and peregrine
     Between two worlds become much like each other,
 So I find words I never thought to speak
 In streets I never thought I should revisit
  When I left my body on a distant shore.

Thomas Stearns Eliot


 Perché le parole dell'anno trascorso 
Appartengono al linguaggio dell'anno trascorso
 E le parole dell'anno a venire attendono un'altra voce.
     Ma, come il passaggio ora non presenta alcun ostacolo
     Allo spirito insoddisfatto e peregrino
     Tra due mondi divenuti molto simili tra loro,
     Così io trovo parole che non avrei mai pensato di pronunciare
     In strade che non pensavo di dover mai ripercorrere
     Quando lasciai il mio corpo su una spiaggia lontana.


...grazie unbrivido...



Claude Monet, Donna con parasole 
Studio di figura all'aria aperta
Giacomo Puccini, Manon Lescaut, 
Intermezzo, James Levine 
Metropolitan Opera House, 2008
T. S. Eliot, Four Quartets
N°4, Little Gidding II
Testo: Tristan
Traduzione: Red
Video: lucpebo2
Photo: Paolo

"And then my heart with pleasure fills..."

 

Daffodils

I wander'd lonely as as a cloud
    That floats on high o'er vales and hills,
When all at once I saw a crowd,
    A host of golden daffodils,
Beside the lake, beneath the trees,
Fluttering and dancing in the breeze.

Continuous as the stars that shine
    And twinkle on the Milky Way,
They stretch'd in never-ending line
    Along the margin of the bay:
Ten thousand saw I at a glance,
Tossing their heads in sprightly dance.

The waves beside them danced, but they
    Outdid the sparkling waves in glee
A poet could not but be gay
    In such a jocund company!
I gazed, and gazed, but little thought
What wealth the show to me had brought.

For oft, when on my couch I lie
    In vacant or in pensive mood,
They flash upon that inward eye
    Which is the bliss of solitude;
And then my heart with pleasure fills,
And dances with the daffodils.


William Wordsworth, Daffodils
Voce: Jeremy Irons
Video: Noxdl

"Al sol della calda primavera lampeggia l'armatura del sire vincitor..."


 

Fabrizio De André 
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers 
Video: fabrizio95deandre

Il cielo...


Un sorriso speciale per un amico caro...



Photo: Deepak
Deepak : Geodesics to Galaxies
Renato Zero, Il cielo
Video: piccolastella1967

"Ch'io mai vi possa lasciar d'amare..."



La promessa

Ch'io mai vi possa lasciar d'amare
no, nol credete pupille care
nemmen per gioco
v'ingannerò.

Voi sole siete le mie faville
e voi sarete care pupille 
il  mio bel foco
sin ch'io vivrò.

Ch'io mai vi possa lasciar d'amare
no, nol credete pupille care
nemmen per gioco
v'ingannerò.




Franz Xaver Winterhalter, Studio di ragazza di profilo
Pietro Metastasio, La promessa
Gioacchino Rossini, La promessa
Video: newFranzFerencLiszt

"...immaginando i viaggi ma ignorando la destinazione."

 

L'Essenza

L'essenza,
non riconosciuta,
ripiega
e aspetta.
Muta.
Non gloria,
non fughe
o vantaggi.
Ma gioie
e spine
e passione.
Vivere è chiedere un passaggio
al Tempo
immaginando i viaggi
ma ignorando
la destinazione. 

Mansardo


Testo, Mansardo

"...certamente ho vissuto in qualche luogo una vita di gioia con te..."





To A Stranger
by Walt Whitman (1819-1892)

Passing stranger! you do not know how longingly I look upon you,
You must be he I was seeking, or she I was seeking, (it comes to me as of a dream,)
I have somewhere surely lived a life of joy with you,
All is recall'd as we flit by each other, fluid, affectionate, chaste, matured,
You grew up with me, were a boy with me or a girl with me,
I ate with you and slept with you, your body has become not yours only nor left my body mine only,
You give me the pleasure of your eyes, face, flesh, as we pass, you take of my beard, breast, hands, in return,
I am not to speak to you, I am to think of you when I sit alone or wake at night alone,
I am to wait, I do not doubt I am to meet you again,
I am to see to it that I do not lose you.


A uno sconosciuto

Sconosciuto che passi! non sai con quanto desiderio io ti guardo,
tu devi essere colui che io cercavo, o colei che cercavo (mi arriva come da un sogno),
certamente ho vissuto in qualche luogo una vita di gioia con te,
tutto è ricordato, mentre passiamo l’uno vicino all’altro, fluido, amorevole, casto, maturo,
sei cresciuto con me, sei stato ragazzo o ragazza con me, io ho mangiato e dormito con te, il tuo corpo è diventato
qualcosa che non appartiene soltanto a te, né ha lasciato che il mio restasse mio soltanto,
mi hai dato il piacere dei tuoi occhi, del tuo volto, della tua carne, mentre io passo, tu ne prendi in cambio dalla mia barba, dal mio petto, dalle mie mani,
non devo parlarti, devo pensarti quando seggo da solo o veglio la notte da solo,
devo aspettarti, non dubito che ti incontrerò ancora, e a questo devo badare, di non perderti.

Walt Whitman, To a Stranger

"...e non s'ode nemmeno un sospiro."



















Poetica

Il ragazzo s'è accorto che l'albero vive:
Se le tenere foglie si schiudono a forza
una luce, rompendo spietate, la dura corteccia
deve troppo soffrire. Pure vive in silenzio.
Tutto il mondo è coperto di piante che soffrono
nella luce, e non s'ode nemmeno un sospiro.
E' una tenera luce. Il ragazzo non sa
donde venga, è già sera; ma ogni tronco rileva
sopra un magico fondo. Dopo un attimo è buio.

Il ragazzo – qualcuno rimane ragazzo
troppo tempo – che aveva paura del buio,
va per strada e non bada alle case imbrunite
nel crepuscolo. Piega la testa in ascolto
di un ricordo remoto. Nelle strade deserte
come piazze, s'accumula un grave silenzio.
Il passante potrebbe essere solo in un bosco,
dove gli alberi fossero enormi. La luce
con un brivido corre i lampioni. Le case
abbagliate traspaiono nel vapore azzurrino,
e il ragazzo alza gli occhi. Quel silenzio remoto
che stringeva il respiro al passante, è fiorito
nella luce improvvisa. Sono gli alberi antichi
del ragazzo. E la luce è l'incanto d'allora.

E comincia nel diafano cerchio, qualcuno
a passare in silenzio. Per la strada nessuno
mai rivela la pena che gli morde la vita.
Vanno svelti,ciascuno come assorto nel passo,
e grandi ombre barcollano. Hanno visi solcati
e le occhiaie dolenti, ma nessuno si lagna.
Tutta quanta la notte, nella luce azzurrina,
vanno come in un bosco, tra le case infinite.

Cesare Pavese

Cesare Pavese, Poetica
Altre poesie degli anni 1931 - 1940
dalla Raccolta "Poesie del disamore", Einaudi

"Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe..."



Il Viaggio

(I)

Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l'universo è pari al suo smisurato appetito.
Com'è grande il mondo al lume delle lampade!
Com'è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!

Un mattino partiamo, il cervello in fiamme,
il cuore gonfio di rancori e desideri amari,
e andiamo, al ritmo delle onde, cullando
il nostro infinito sull'infinito dei mari:

c'è chi è lieto di fuggire una patria infame;
altri, l'orrore dei propri natali, e alcuni,
astrologhi annegati negli occhi d'una donna,
la Circe tirannica dai subdoli profumi.

Per non esser mutati in bestie, s'inebriano
di spazio e luce e di cieli ardenti come braci;
il gelo che li morde, i soli che li abbronzano,
cancellano lentamente la traccia dei baci.

Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s'allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!

I loro desideri hanno la forma delle nuvole,
e, come un coscritto sogna il cannone,
sognano voluttà vaste, ignote, mutevoli
di cui lo spirito umano non conosce il nome!

Charles Baudelaire 

 

Nikifor Krylov, Ragazzo che dorme
Charles Baudelaire, Il Viaggio (Parte I)
Voce: Domenico Pelini

Pintura telúrica: la voce sommessa della Terra


Coltivavo un orto, qualche anno fa; era un piccolo fazzoletto di terra strappato alla rude pendenza di un monte, che con ostinazione mantenevo ordinato e libero dalle erbe infestanti. Era faticoso ripulirlo costantemente, sradicare le erbacee più tenaci dai nomi dialettali irripetibili, sarchiando bene attorno alle piantine di pomodoro, di zucchine, di basilico, nel tentativo di mantenerlo ordinato e perfetto. Un giorno, di ritorno dopo una breve assenza da casa, mentre osservavo sconsolata il mio orto divenuto una piccola giungla , notai che erano comparse qua e là piccole piantine di menta, tarassaco, borragine, mescolate alla parietaria e alle viole selvatiche. La Terra mi aveva scritto un messaggio, con la sua voce di radici, mi stava insegnando altre parole, le sue, spontanee e ostinate più di me. Cominciai così a  lasciar crescere liberamente quelle parole nuove e ad usarle... andavo nell'orto a raccogliere gli ortaggi e insieme prendevo a piene mani preziosi prodotti, che la Terra mi donava senza alcuno sforzo da parte mia. Portavo il mio piccolo tesoro in cucina e con quello cucinavo, in una vertigine di profumi intensi: menta, salvia, timo, erbe selvatiche, ortica...L'orto, colonizzato dall'erba, pullulava di insetti di ogni sorta, che nell'armonico e crudele equilibrio naturale mantenevano in salute i miei ortaggi senza l'impiego di alcun prodotto chimico. Chiunque abbia il privilegio di vivere giorno dopo giorno a contatto stretto con la natura, con la Madre Terra, sa perfettamente di cosa sto parlando. E' la sensazione precisa di appartenere ad un mondo, di esserne nutriti ed accuditi, anche in tempi come questi, in cui ci sentiamo perduti se non abbiamo in tasca il telefonino. Da troppo tempo, per forza di cose, vivo lontano da quella dimensione che so essere la mia. Soffro molto la mancanza di quel contatto quotidiano, soffro perché qui, dove vivo, la voce della Terra spesso è sovrastata dal frastuono del traffico, annullata dalla fretta e dalla routine, dall'immondizia e dal torpore culturale; le fughe sui i monti nel fine settimana, o certe amorevoli passeggiate botaniche hanno purtroppo un effetto solo momentaneo, perché ciò che mi manca di più è la quotidianità di quel contatto. Ho fatto questa lunga premessa perché non sembri eccessivo o peggio ancora visionario il racconto del mio incontro con un grande pittore... un incontro purtroppo solo virtuale finora, ma intenso e ricco di emozioni vivissime e soprattutto incredibilmente pervaso da quella meravigliosa sensazione che si prova nell'ascoltare la voce della Terra. Antòniu, questo il suo nome, dipinge con sostanze naturali come argilla, metalli, sabbia, pietre... altre parole preziose con cui la Madre Terra parla con noi. Ho letto nel suo blog il racconto di come si procura le materie per creare le sue meraviglie e mi sono commossa nell'apprendere che fa esattamente quello che facevo io nel mio piccolo orto libero... raccoglie a piene mani dalla generosa Terra e la manipolazione dei materiali, che hanno varie proprietà benefiche riconosciute, gli procura piacere e benessere, così come li procurava a me  tagliuzzare, sminuzzare, elaborare le erbe spontanee del mio amato, piccolo orto. Anche se posso ammirare i suoi quadri solo attraverso lo schermo del pc, grazie al suo lavoro provo un'emozione intensa e vera nel perdermi fra le linee sinuose dei suoi deserti, nel seguire le forme precise dei suoi soli, delle figure palpitanti, che sembrano danzare al dolce suono della sommessa voce della Madre Terra, che parla attraverso i suoi dipinti...e che, così manipolata, sminuzzata, ricomposta in una nuova forma, ancora respira e vive.
































Dipinti:
 "Femme arbre"
 "Universo femenino"

" T'assicuro ch'a tie solu bramo..."


Non potho reposare

     Non potho reposare, amore e coro
     pensende a tie soe donzi momentu
     Non istes in tristura prenda e oro
     né in dispiaghere o pensamentu.
     T'assicuro ch'a tie solu bramo,
     ca t'amo forte t'amo, t'amo, t'amo.
     Amore meu prenda da estimare,
     s'affettu meu a tie solu est dau;
     s'are iuttu sas alas a bolare,
     milli bortas a s'ora ippo bolau;
     pro benner nessi pro ti saludare,
     s'attera cosa non 'a t'abissare.

Salvatore Sini
(1926)

 

 Non posso riposare

      Non posso riposare, amore e cuore,
     penso a te in ogni momento.
     Non essere triste, gioia d'oro
     né con dispiaceri o brutti pensieri.
     Ti assicuro che solo te bramo,
     poiché t'amo forte, t'amo, t'amo.
     Amore mio, gioia da stimare,
     il mio affetto è solo per te;
     se avessi avuto le ali per volare,
     mille volte all'ora sarei (da te) volato;
     almeno per venire a salutarti,
     o anche soltanto per vederti.


Un ringraziamento e un abbraccio grande a orso, per avermi accolto nel suo blog pieno di  tesori con le note di questa meraviglia, nella versione di Andrea Parodi, che mi ha preso il cuore...e se lo terrà per sempre.
 

Salvatore Sini, Non potho reposare
serenata in Lingua Sarda
Testo e traduzione: fontesarda
Voches 'e Ammentos de Garteddi, Non potho reposare

Nell'ombra silenziosa


La valle, scendendo al mare, ha poche anse ed è delimitata su entrambe le rive del torrente da un susseguirsi di montagne non troppo elevate che sul lato sinistro la separano dal mare; se non ci fossero, la valle godrebbe di un clima molto più mite e non sarebbe tormentata dall'umidità. I fianchi dei monti che fanno da barriera all'aria di mare sono pressoché disabitati, al contrario dei loro dirimpettai che sono ben esposti al sole; sui loro ripidi pendii si arrampicano strade ad una sola carreggiata e paesini soleggiati che sembrano far parte di un presepe permanente. Scendendo al mare, dove la valle si allarga e sbocca in una piana alluvionale, ogni costa che si incontra mostra il suo piccolo paese colorato, col campanile decorato "alla genovese" e le casette attaccate le une alle altre, quasi a contrastare la pendenza del terreno che le circonda, tutto coltivato ad ulivi. La Storia ha lasciato poche tracce su questi crinali.. di più hanno fatto la povertà, la fatica amara, la continua lotta con il terreno friabile e poco fertile, un eterno costruire e ricostruire muretti "a secco", incastrando pietre e giorni, generazione dopo generazione. E sentieri. Tutti i monti circostanti, dall'Appennino alla riva del mare, sono stati ricamati dai passi di innumerevoli viandanti, che si sono spostati a piedi, a volte a dorso di mulo, per coltivare, attingere acqua, mantenere scambi commerciali e rapporti sociali, pregare. Anche da qui, dove mi trovo oggi, davanti a questa piccola chiesa romanica che sonnecchia sulla costa del monte, se lascio correre lo sguardo intorno posso vedere lo sbocco della valle e il mare proprio dietro alla cresta dei monti. La strada, asfaltata ma strettissima, parte dal fondo valle e finisce qui, sul piazzale sterrato della chiesetta; nessuno sale più fin quassù, eccetto qualche anziana signora e sporadici escursionisti, che seguono i sentieri più interni e costa dopo costa raggiungono il mare; da qui se ne percepisce il profumo, mescolato ai sentori di mortella e di elicriso nascosti nella macchia calda di sole. C'è un silenzio dolce intorno a questi sassi millenari ormai dimenticati dai più... gli uccelli nidificano indisturbati, scaldandosi al tepore delle lastre d'ardesia del tetto, finché il sole è ancora  gentile. La chiesetta è chiusa per tutto l'anno, salvo tre giorni di giugno in occasione della festa di San Giovanni. Allora il suo piazzale si ripopola e un fiume bizzarro e colorato di gente risale controcorrente i crinali e i sentieri e si riversa qui. 
Mentre riposo, seduta sulla panca di pietra che corre lungo la facciata principale, sento voci e respiri affannosi provenire dal lato sinistro della chiesa. Proprio questo lato ospitava anticamente i pellegrini , accogliendoli sotto un porticato di cui sono ancora visibili le pietre d'appoggio sulla facciata. Quando raggiungono il piazzale e mi salutano, con un sorriso ansimante, posso vedere che si tratta di cinque persone sulla settantina, tre donne e due uomini; si fermano sul piazzale e osservano la chiesetta. Sul limite del bosco di querce, che dal fondo valle si arrampica fino qui, c'è un cartello d'informazione turistica: la mappa del territorio, i paesi vicini, cenni sulla chiesa e sul suo impianto originario, legami labili e perduti nel tempo con le grandi famiglie nobili. Leggono avidamente, commentando sottovoce e mi guardano ogni tanto, sorridendo. Sorrido anch'io perché comincio a sentire di avere in comune qualcosa con questi sconosciuti... il loro sguardo incuriosito e impaziente somiglia al mio. Mi alzo in piedi e accenno un :- Vi farebbe piacere conoscere.. - Non finisco la frase: mi raggiungono contenti, impazienti di sapere a cosa sia dovuta quella forte sensazione di essere capitati in un posto dove il tempo sembra essersi fermato. Racconto loro tutto quello che so di questa chiesa, dell'interno originale e poco ritoccato, e soprattutto del trittico del Barbagelata, pittore attivo tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, che dipingeva come i suoi predecessori quattrocenteschi. Il trittico fu commissionato proprio per la chiesetta, poi spostato in epoca recente, per evitare di esporlo al rischio di essere rubato. Oggi si trova in valle, nella parrocchiale del paese, situata proprio ai piedi della costa di San Giovanni; nessun cartello ne indica la presenza e sono sicura che degli oltre 6.000 abitanti del paese pochissimi sono a conoscenza della sua storia e del valore artistico e storico che continua a rappresentare. Il mio appassionato uditorio mi ringrazia con calore e nel salutarmi  mi assicura che la visita al trittico sarà imminente. Saluto e sorrido fra me, pensando di aver in qualche modo reso un po' di giustizia ad un tesoro d'arte dimenticato. Da oltre mezzo secolo questo antichissimo legno dipinto respira e si muove tra questi ulivi  e i boschi; da circa trent'anni regala la sua bellezza agli ignari fedeli nell'ombroso silenzio della parrocchiale... sonnecchia non visto, sotto lo sguardo paziente delle antiche mura per cui fu concepito e che, quassù sulla costa, ancora resistono pietra su pietra all'ingiuria del tempo e dell'uomo... aspettando forse di poterlo riabbracciare.



Per Achab,  con affetto sincero.



Facciata laterale della chiesetta di San Giovanni
Photo: Red
Giovanni da Barbagelata, Trittico
Photo:  Liceo Delpino 

"e sfugge al mare dalle braccia d'alghe..."



Scirocco

O rabido ventare di scirocco
che l'arsiccio terreno gialloverde bruci;
e su nel cielo pieno
di smorte luci
trapassa qualche biocco
di nuvola, e si perde.
Ore perplesse, brividi
d'una vita che fugge
come acqua tra le dita;
inafferrati eventi,
luci - ombre, commovimenti
delle cose malferme della terra;
oh alide ali dell'aria ora son io
l'agave che s'abbarbica al crepaccio
dello scoglio
e sfugge al mare da le braccia d'alghe
che spalanca ampie gole e abbranca rocce;
e nel fermento d'ogni essenza,
coi miei racchiusi bocci
che non sanno più esplodere oggi sento
la mia immobilità come un tormento.

Eugenio Montale

Eugenio Montale, Scirocco
da Ossi di seppia

In love with Shakespeare 13



Sonnet I

From fairest creatures we desire increase,
That thereby beauty's rose might never die,
But as the riper should by time decease,
His tender heir might bear his memory:
But thou contracted to thine own bright eyes,
Feed'st thy light's flame with self-substantial fuel,
Making a famine where abundance lies,
Thy self thy foe, to thy sweet self too cruel:
Thou that art now the world's fresh ornament,
And only herald to the gaudy spring,
Within thine own bud buriest thy content,
And, tender churl, mak'st waste in niggarding:

Pity the world, or else this glutton be,
To eat the world's due, by the grave and thee.


Il Sonetto I, secondo David Luke Michael


Sonetto 1

Alle meraviglie del creato noi chiediam progenie
perché mai si estingua la rosa di bellezza,
e quando ormai sfiorita un dì dovrà cadere,
possa un suo germoglio continuarne la memoria:
ma tu, solo devoto ai tuoi splendenti occhi,
bruci te stesso per nutrir la fiamma di tua luce
creando miseria là dove c'è ricchezza,
tu nemico tuo, troppo crudele verso il tuo dolce io.
Ora che del mondo sei tu il fresco fiore
e l'unico araldo di vibrante primavera,
nel tuo stesso germoglio soffochi il tuo seme
e, giovane spilorcio, nell'egoismo ti distruggi.
Abbi pietà del mondo o diverrai talmente ingordo
da divorar con la tua morte quanto a lui dovuto


Traduzione: Shakespeareweb

Una lettera



 

Egregio Presidente,

sono un'impiegata dell'impresa di pulizie che Lei ritiene essere sovradimensionata per le esigenze della sua società e, per questo motivo, ha deciso di mettere da parte.
So bene come andranno a finire le cose. Il sindacato ribatterà che si devono garantire i livelli occupazionali, Lei insisterà sulla necessità di ridurre drasticamente il servizio e si arriverà al compromesso che si lavorerà meno, per lavorare tutte, oppure si salveranno soltanto la metà delle attuali dipendenti, ma con l'orario immutato.
Qualcuna sarà prepensionata (non è il mio caso), qualcun'altra verrà collocata in cassa integrazione, magari a zero ore, altre ancora troveranno lavoro in imprese collegate. Chissà dove, chissà per quanto.
Sicuramente molte di noi dovranno rivedere il bilancio familiare, perché non si potranno più permettere il lusso di contare su 800 euri al mese.
Ecco, io potrei essere una di queste. Non mi spaventa, sono cresciuta dovendo quotidianamente affrontare mille difficoltà.
Sa Presidente, alle privazioni ci si abitua. Sin da ragazzina ho dovuto tirare la cinghia anche se, a dire il vero, una cinghia nemmeno ce l'avevo. Abitavo con mia madre e mia sorella più piccola in un quartiere fiorente e gonfio di speranze e promesse soltanto per due mesi ogni cinque anni, durante le campagne elettorali.
Trenta metri quadri in tre. Mio padre lo ricordo appena, morì che avevo pochi anni.
Si viveva della sua pensione di operaio, a cui si aggiungevano pochi spiccioli per l'accompagnamento di mia madre, non vedente. Spesso stavamo al buio, per risparmiare e perché mia madre della luce non sapeva che farsene. Io e mia sorella studiavamo al lume di candela.
Siamo sempre andate d'accordo. La sera, mentre mia madre ascoltava la radio per addormentarsi, giocavamo al gioco dell'oca o a battaglia navale.
Sono cresciuta senza PlayStation eppure ero felice. La TV arrivò in casa nostra quando un lontano zio si comprò un nuovo televisore a colori e ci regalò il suo vecchio 14 pollici in bianco e nero, con i canali che saltavano spesso e l'audio velato.
Per noi l'arrivo della TV fu un evento emozionante, di cui ingenuamente ci vantammo anche a scuola. Ma fu anche l'inizio di un periodo molto doloroso.
Allora avevo diciassette anni, mia sorella due in meno.
Lo zio di cui ho parlato venne a portarci la nostra piccola TV una domenica mattina. Non dovette suonare il campanello perché proprio in quel momento mia sorella teneva la porta di casa aperta per poggiare sul pianerottolo il sacchetto delle immondizie. Lui salutò ed entrò.
Io in quel momento stavo facendo il bagno nella vasca piena di acqua calda e sali profumati. Me lo potevo permettere soltanto la domenica e volevo gustarmelo fino in fondo. Lui non era mai stato a casa nostra. Passò davanti al bagno proprio mentre io uscivo dalla vasca. La porta era aperta, come sempre. Quando si vive con una non vedente non si fa tanto caso a certi pudori. Io e mia sorella talvolta giravamo seminude per casa, senza alcuna malizia.
Mio zio mi fissò per alcuni secondi, prima che riuscissi a prendere l'accappatoio e chiudere la porta.
Qualche giorno dopo squillò il telefono. Rispose mia sorella. Era lui.
Non ci girò molto intorno. Mi disse che molte mie coetanee potevano fare una vita più agiata della mia perché ogni tanto facevano compagnia a persone anziane e bisognose di intimità.
Si lavorava poco e si guadagnava bene. Lui controllava e faceva in modo che non succedesse niente a nessuno e che gli incontri si svolgessero nella massima riservatezza e pulizia.
Lo mandai a cagare. Non ero neanche sicura fosse davvero mio zio.
Poche settimane dopo arrivò Natale. Un triste, tristissimo Natale. Anche mia madre ci aveva lasciato, i primi giorni di dicembre. L'unico reddito per me e mia sorella era ormai la pensione di mio padre. O meglio, quello che ne restava. Le prospettive dell'immediato futuro erano poco felici.
Il giorno dell'Epifania "lo zio" chiamò ancora e, dopo le condoglianze, mi chiese se ero ancora arrabbiata con lui. Questa volta non gli sbattei il telefono in faccia.
Gli incontri si svolgevano in un monolocale della costa, appartato, decoroso, abbastanza pulito ma con un forte odore di umido, arredato con gusto dozzinale e, date le circostanze, equivoco. I primi tempi lavoravo un paio d'ore una volta alla settimana, ben presto i giorni diventarono una decina al mese.
Molti pensionati, qualche agente di commercio, turnisti, dipendenti in trasferta e militari. Si agitavano sul mio corpo acerbo per pochi minuti, dopo avermi toccato dappertutto rudemente, senza il minimo sentimento. Ricordo ancora l'alito puzzolente di tanti corpi sfatti, gli occhi impregnati di vino, le loro unghie sporche su di me. Ho visto tante cicatrici, tanti nei. Ho respirato tanto sudore e fumo di sigaretta. Alcuni clienti erano evidentemente abituati a certi incontri, altri invece recitavano un ruolo che non gli si addiceva, con frasi forzatamente volgari per darsi un tono. Magari a casa li stava spettando una figlia della mia età.
La mia discesa all'inferno durò sei mesi. Un pomeriggio si presentarono in due, pieni di tatuaggi e di proposte insostenibili. Io, con la scusa di andare in bagno a lavarmi, scappai dalla finestra e corsi fino a sentire il cuore scoppiarmi in gola. Tornai a casa molto tardi, in autostop.
Dopo due giorni lui mi telefonò. Mi riempì di insulti e, con mia grande sorpresa, mi disse che aveva già in mente di scaricarmi perché ero ormai maggiorenne, ma che un giorno l'avrei cercato io e mi avrebbe ripreso soltanto alle sue condizioni.
Stavolta fu lui a sbattermi il telefono in faccia. Non l'ho più sentito in vita mia.
Qualche mese più tardi risposi ad un'inserzione sul giornale. Si trattava di un posto part-time di segretaria presso un'associazione di artigiani. Compenso da fame, tutto in nero, nessun contributo previdenziale, orari pesanti. Un ricatto per disperati, ma io ero disperata e accettai.
La sede sociale era uno stanzino al piano terra di uno stabile fatiscente appena fuori città.
Mi comprai un paio di pantaloni e un maglioncino dai cinesi sotto casa per assumere un aspetto dignitoso. Con un vasetto di fiori e due quadretti provai anche a rendere più grazioso ed accogliente l'ufficio così spoglio, striminzito e sperduto ma per me così importante.
Il mio lavoro consisteva nel rispondere al telefono, spedire la corrispondenza e verbalizzare durante le riunioni. Per arrotondare la paga non affrancavo le lettere destinate ai soci e le consegnavo a mano. I soldi per i francobolli, tolte le spese per i biglietti del pullman, restavano a me. Fu proprio in occasione di una di queste consegne che conobbi l'anno scorso il proprietario dell'impresa di pulizie dove ho lavorato fino a oggi. Cercava nuovo personale e mi propose di fare un periodo di prova di tre mesi. Il resto della storia lo può intuire, Presidente.
Adesso Lei si starà chiedendo come mai Le ho raccontato tutte queste cose. Non si preoccupi, non intendo elemosinare una raccomandazione o chiedere la carità di una proroga dell'impiego. Il mio destino è affidato al gioco delle parti, ho un destino precario. Ricominciare non mi spaventa più. Ma ho una sorella più piccola ed ho promesso a mia madre, quando era in punto di morte, di vigilare su di lei. Questo pensiero mi ha sempre dato la forza di sopportare tutte le umiliazioni che ho dovuto subire e di maturare la convinzione di risparmiarle almeno a lei.
Non ho altre pretese che proteggere la sua dignità.
Ma lo sa che la settimana scorsa stavo pulendo la barca del titolare dell'impresa di pulizia ormeggiata al porticciolo e all'improvviso dall'imbarcazione accanto è uscito Lei con la sigaretta in bocca e un fascio di quotidiani sotto il braccio? Aveva un bel paio di occhiali da sole, pantaloncini e ciabatte. Non mi ha vista e per non metterLa in imbarazzo anche io ho fatto finta di niente.
Vede Presidente, da quel giorno mi sono chiesta spesso dove avevo già visto la cicatrice che Lei ha sotto lo stomaco. Stanotte mi sono ricordata.
Io e la sua cicatrice ci siamo conosciuti nel monolocale sulla costa. Lei non può ricordarsi di me, io invece fatico a non pensarci. Ma con un po' di buona volontà potrei dimenticare. Perché esistono anche cicatrici che possono scegliere di non sanguinare.
Con deferenza.




Testo:Mansardo
"La cacciata dal Giardino dell'Eden" 
particolare di Eva

"Allora l'albero di notte cominciò a mutare..."



Sulla via di casa

Fu quando dissi:
"La verità non esiste"
che i grappoli parvero più grossi.
La volpe corse fuori dalla tana.

Tu... Tu dicesti:
"Vi sono molte verità,
ma non sono parti di una verità".
Allora l'albero, di notte, cominciò a mutare,

fumando nel verde e fumando blu.
Eravamo due figure in un bosco.
Dicemmo che ci sostenevamo da soli.

Fu quando dissi:
"Le parole non sono forme di una singola parola.
Nella somma delle parti, vi sono solo le parti.
Il mondo deve essere misurato ad occhio";

fu quando dicesti:
"Gli idoli hanno visto molta povertà,
serpenti, oro e pidocchi,
ma non Ia verità";

fu allora che il silenzio fu più largo
e più lungo, la notte più rotonda,
la fragranza dell’autunno più calda,
più vicina e più forte.

On the Road Home

It was when I said,
" There is no such thing as the truth",
That the grapes seemed fatter.
The fox ran out of his hole.
 
You... You said,
“There are many truths,
But they are not parts of a truth”.
Then the tree, at night, began to change,

Smoking through green and smoking blue.
We were two figures in a wood.
We said we stood alone.
 
It was when I said,
“Words are not forms of a single word.
In the sum of the parts, there are only the parts
The world must be measured by eye”;

It was when you said,
“The idols have seen lots of poverty,
Snakes and gold and lice,
But not the tru'th";
 
It was at that time, that the silence was largest
And longest, the night was roundest,
The fragrance of the autumn warmest,
Closest and strongest.


Wallace Stevens, On the road home
Traduzione: Massimo Bacigalupo