" ...tra passo e passo...ballare il silenzio..."

“Il segreto del tango sta in quell’istante di improvvisazione
che si crea tra passo e passo. Rendere l’impossibile una cosa possibile: ballare il silenzio”. (Carlos Gavito)


Photo: Photosbal
Luis Bacalov, Libertango (Astor Piazzolla)
Video: ilproiettore

Mansardo

Erbario dei pensieri, la margherita sincera


 "Per fare un prato occorrono
un trifoglio e un'ape,
un trifoglio e un'ape
e il sogno
il sogno basterà
se le api sono poche."

Emily Dickinson




Lucia Popp, Aria di Cherubino
da "Le nozze di Figaro", W. A. Mozart

"di stella è il tuo silenzio, così lontano e semplice..."


Mi piaci silenziosa

Mi piaci silenziosa, perché sei come assente
mi senti da lontano e la mia voce non ti tocca.
Par quasi che i tuoi occhi siano volati via
ed è come se un bacio ti chiudesse la bocca.

Tutte le cose sono colme della mia anima
e tu da loro emergi, colma d'anima mia.
Farfalla di sogno, assomigli alla mia anima
ed assomigli alla parola malinconia.

Mi piaci silenziosa, quando sembri distante.
E sembri lamentarti, tubante farfalla.
E mi senti da lontano e la mia voce non ti arriva:
lascia che il tuo silenzio sia il mio silenzio stesso.

Lascia che il tuo silenzio sia anche il mio parlarti,
lucido come fiamma, semplice come anello.
Tu sei come la notte, taciturna e stellata.
Di stella è il tuo silenzio, così lontano e semplice.
Mi piaci silenziosa perché sei come assente.
Distante e dolorosa come fossi morta.
Basta allora un sorriso, una parola basta.
E sono lieto, lieto che questo non sia vero.

Pablo Neruda


Raffaello Sanzio, La Muta
Pablo Neruda, Me gustas cuando callas
Voce: Marcello Sacerdote

E la mia anima solo vede la tua che le appartiene...

        
Sonnet IV    Lovesight

When do I see thee most, beloved one?
When in the light the spirits of mine eyes
Before thy face, their altar, solemnize
The worship of that Love through thee made known?
Or when in the dusk hours, (we two alone,)       
Close-kissed and eloquent of still replies
Thy twilight-hidden glimmering visage lies,
And my soul only sees thy soul its own?
O love, my love! if I no more should see
Thyself, nor on the earth the shadow of thee,       
Nor image of thine eyes in any spring,—
How then should sound upon Life’s darkening slope
The ground-whirl of the perished leaves of Hope,
The wind of Death’s imperishable wing?

Dante Gabriel Rossetti




Visione d'Amore

Quando più io ti vedo, mia amata?
Quando nel chiarore le anime dei miei occhi
di fronte al tuo viso, il loro altare, celebrano
Il culto di quell'amore reso conosciuto attraverso te?
O quando all'imbrunire, (noi due soli),
Ricoperto di baci ed eloquente di risposte mute
Il tuo viso in penombra luminoso sta,
E la mia anima solo vede la tua che le appartiene?
O amore, mio amore! Se io non dovessi più vedere
Te, né la tua ombra sulla terra,
Né  ritratto dei tuoi occhi in alcuna fonte,
Come dunque suonerebbe sul declivio oscuro della Vita
Il mulinello delle foglie morte della Speranza,
Il respiro dell'indistruttibile ala della Morte?


Dante Gabriel Rossetti, Sonetto IV da The House of Life
Aidan Turner legge il Sonetto IV

Una torta per Sile...e per la signora Gina

 

Dal film "Opéra Imaginaire" di Pascal Rouluin (1993)

Il tortello alchemico - 2

Gli affreschi del Parmigianino nella Rocca Sanvitale a Fontanellato (PR)

















Questa storia estremamente affascinante mi sta mettendo appetito, non saprei dire se più di conoscenza o di bollito... quindi provvedo ad entrambi, tanto per non farmi mancare nulla. Il bollito accompagnato dalle verdure è un sogno... fuori fa freddo, anche se il sole brilla e si riflette sull'acqua sonnolenta del fossato che circonda la Rocca. Diana sta per scendere nelle dolci acque del ruscello, che nascosto scorre nel folto del bosco, il povero Atteone non è ancora giunto nelle vicinanze e ancora non sa del suo destino. Già... Atteone. Perchè la scelta di affrescare una stanza segreta al primo piano? Non era più logico privilegiare il piano nobile? Pongo questa domanda al mio colto commensale, che in effetti mi conferma l'originalità di questa decisione. :- Ma quando visiterai lo studiolo - mi dice - capirai che tanto l'opera dipinta quanto la sua collocazione sono caratterizzate fortemente dalla segretezza: l'affresco raffigura Diana che si bagna di nascosto nelle acque di un ruscello, celato anch'esso nel folto di un bosco. Se vogliamo fare riferimento alla tradizione greca, da cui ci arriva una delle due versioni di questo mito, Atteone scorge la dea e nascostamente la osserva. Ovviamente viene scoperto e, per punizione, trasformato in cervo e fatto sbranare dai suoi stessi cani.-
:- E l'altra versione?- chiedo, mentre un sorso di Lambrusco mi riconcilia definitivamente con il resto del mondo :- L'altra versione è tramandata da Ovidio nelle "Metamorfosi", ma in questa l'elemento predominante è la casualità: Diana casualmente si bagna nel folto di un bosco in cui è in corso una battuta di caccia; Atteone casualmete la scorge, perché si imbatte nella dea mentre esplora il bosco e, dopo essere stato scoperto e trasformato in cervo, viene sbranato dai suoi cani che semplicemente non lo riconoscono e lo credono una preda -  Molto interessante, ma quando comincia a parlarmi di Giordano Bruno già non lo seguo più... :- Giordano Bruno legge il mito di Diana e Atteone come una metafora della ricerca della conoscenza - mi spiega sorridendo - e questa interpretazione è ancor più ermetica...qui i cani da caccia sono i pensieri, i desideri... e la metamorfosi trasforma Atteone nell'oggetto amato, desiderato: la preda ambita - La mia curiosità adesso è davvero tanta, non vedo l'ora di ammirare gli affreschi dello studiolo non solo perché amo lo stile inconfondibile del Parmigianino, ma anche perché tutte queste spiegazioni e introduzioni alla lettura del motivo mitologico che li domina mi hanno lasciato la sensazione di stare per aprire un magnifico libro, ricco di immagini splendide, che illustrano le molte chiavi di lettura di una storia personale. A proposito di storia personale :- E l'evento funesto? - chiedo al mio commensale :- La morte del piccolo figlio dei signori della Rocca di Fontanellato è strettamente legata all'affresco, la ritroverai sottintesa in tutta l'opera dipinta e ti sembrerà di essere davvero davanti ad un racconto dal duplice significato: il castigo di una dea che descrive in modo simbolico un "castigo" più doloroso e reale e la disperata ricerca del suo significato più vero, per il raggiungimento della preda ambita...la pace interiore -
:- Che ne dici di una fetta di torta alle noci?-


Il mito di Diana e Atteone 
Affreschi della Rocca Sanvitale, Fontanellato (PR)

"Fiamme e strali possenti in debil core..."












Interrotte speranze

Interrotte speranze, eterna fede,
Fiamme e strali possenti in debil core:
Nutrir sol di sospir un fero ardore
E celar il suo mal quand’altri il vede:
Seguir di vago e fuggitivo piede
L‘orme rivolte a volontario errore;
Perder del seme sparso e’l frutto e’l fiore
E la sperata al gran languir mercede;
Far d’uno sguardo sol legge ai pensieri
E d’un casto voler freno al desio
E spender lacrimando i lustri interi:
Questi ch’a voi ,quasi gran fasci, invio,
Donna crudel, d’aspri tormenti e fieri,
Saranno i trofei vostri, e’l rogo mio.


Tratto da: “VII libro de madrigali”di C. Monteverdi
Testo: Sonetto di Gian Battista Guarini (1538 - 1612)




Rolando Villazón, Topi Lehtipuu
dal VII Libro dei madrigali di Claudio Monteverdi
Cathedral St.Denis, Paris 23-06-08

Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i ciliegi

   
Giochi ogni giorno...

Giochi ogni giorno con la luce dell'universo.
Sottile visitatrice, giungi nel fiore e nell'acqua.
Sei più di questa bianca testolina che stringo
come un grappolo tra le mie mani ogni giorno.
A nessuno rassomigli da che ti amo.
Lasciami stenderti tra le ghirlande gialle.
chi scrive il tuo nome a lettere di fumo tra le stelle del sud?
Ah lascia che ricordi come eri allora, quando ancora non esistevi.

Improvvisamente il vento ulula e sbatte la mia finestra chiusa.
Il cielo è una rete colma di pesci cupi.
Qui vengono a finire i venti, tutti.
La pioggia si denuda.
Passano fuggendo gli uccelli.
Il vento. Il vento.
Io posso lottare solamente contro la forza degli uomini.
Il temporale solleva in turbine foglie oscure
e scioglie tutte le barche che iersera s'ancorarono al cielo.
Tu sei qui. Ah tu non fuggi.
Tu mi risponderai fino all'ulitmo grido.
Raggomitolati al mio fianco come se avessi paura.
Tuttavia qualche volta corse un'ombra strana nei tuoi occhi.

Ora, anche ora, piccola mi rechi caprifogli,
ed hai persino i seni profumati.
Mentre il vento triste galoppa uccidendo farfalle
io ti amo, e la mia gioia morde la tua bocca di susina.
Quanto ti sarà costato abituarti a me,
alla mia anima sola e selvaggia, al mio nome che tutti allontanano.
Abbiamo visto ardere tante volte l'astro baciandoci gli occhi
e sulle nostre teste ergersi i crepuscoli in ventagli volteggianti.
Le mie parole piovvero su di te accarezzandoti.
Ho amato da tempo il tuo corpo di madreperla soleggiata.
Ti credo padrona fin dell'universo.
Ti porterò dalle montagne fiori allegri,copihues,
nocciole scure, e ceste silvestri di baci.
Voglio fare con te
ciò che la primavera fa con i ciliegi.

Pablo Neruda


Franz Xaver Winterhalter, La Primavera

 Pablo Neruda, Poema 14
Veinte poemas de amor y una canción desesperada

San Francisco Early Music Ensemble Voices of Music 
Pachelbel Canon in D

In love with Shakespeare (10)












Sonnet XV

When I consider every thing that grows
Holds in perfection but a little moment,
That this huge stage presenteth nought but shows
Whereon the stars in secret influence comment;
When I perceive that men as plants increase,
Cheered and checked even by the self-same sky,
Vaunt in their youthful sap, at height decrease,
And wear their brave state out of memory;
Then the conceit of this inconstant stay
Sets you most rich in youth before my sight,
Where wasteful Time debateth with decay
To change your day of youth to sullied night,
   And all in war with Time for love of you,
   As he takes from you, I engraft you new.
Testo: Shakespeare's Sonnets


Il Sonetto 15 secondo Marcello Sacerdote


Painting: Sandro Botticelli
Voce : Marcello Sacerdote

Il tortello alchemico - 1

Parmigianino - Ritratto di Gian Galeazzo Sanvitale


Qualche anno fa, seduta comodamente davanti ad un fumante piatto di tortelli alle erbette profumati da un eccellente Parmigiano, a due passi dalla Rocca Sanvitale di Fontanellato... ho scoperto una storia. Una storia nascosta nella Storia e dire nascosta è più che mai corretto in questo caso. Ma conviene procedere con ordine, partendo dall'istante esatto in cui i rebbi della forchetta hanno tagliato in due il primo tortello, liberando un profumo unico... che ancora sento..chiaramente. In quel preciso istante il mio accompagnatore ha iniziato a raccontare una storia a me sconosciuta, affascinante come tutte le storie che si perdono nella nebbia del tempo... Nel 1524 Gian Galeazzo Sanvitale, signore della Rocca di Fontanellato e sposo di Paola Gonzaga, chiama alla sua corte un pittore parmense di appena ventun anni, allievo del Correggio, Francesco Mazzola detto il Parmigianino. Poco tempo prima di quella convocazione, la Rocca Sanvitale è funestata da un evento luttuoso: la morte prematura del figlioletto di Gian Galeazzo e Paola, considerata con buona probabilità il motivo all'origine della committenza. Il signore incarica il Parmigianino di affrescare la volta di uno studiolo, un piccolo locale situato al primo piano della Rocca, sulla cui destinazione d'uso ancora oggi si discute e il pittore inizia i lavori nell'estate o forse nell'autunno di quell'anno. Un sorso di Lambrusco, quello prodotto dai vitigni a bacca rosa...accompagna l'ultimo tortello; il mio colto commensale continua il suo racconto, le terre colorate fanno la loro comparsa nel mio immaginario, complice il Lambrusco hanno colori molto vivi, così che posso vedere benissimo gli ossidi e le terre di Siena, insieme ai blu intensi che daranno poi origine al cielo dominante negli affreschi dello studiolo. A questo punto il racconto si interrompe, per lasciare spazio all'incontro con la personalità del Parmigianino e soprattutto con l'aura alchemica che ne circonda tutta la vita e la produzione pittorica. Simboli alchemici sono disseminati nelle sue opere, a cominciare dal suo "Autoritratto allo specchio", eseguito giovanissimo, passando per il ritratto di Gian Galeazzo Sanvitale, suo primo grande committente. Quest'ultimo dipinto, oltre ad illustrare il carattere volitivo del condottiero rappresentato da elmo, mazza ed armatura sullo sfondo, contiene almeno due simboli alchemici: un medaglione sul cappello, ornato d' un caduceo ermetico che simboleggia Mercurio patrono dell'achimia e una moneta, tenuta tra le dita dal signore, recante il numero 72. Esistono diverse interpretazioni circa il significato di questo numero; la più accreditata sostiene che le due cifre 7 e 2 siano un chiaro riferimento ai sette metalli e ai due principi costitutivi della materia metalllica com'era intesa ai tempi del Parmigianino. Mentre un piatto profumatissimo di culatello di Zibello, accompagnato da biondi riccioli di burro, arriva ad occupare il posto lasciato vacante dai tortelli, il mio commensale mi fa notare che se Gian Galeazzo decide di farsi ritrarre circondato da simboli alchemici, allora...le teorie che vedono negli affreschi dello studiolo più di un significato in tal senso sono assolutamente da prendere per vere. :- Ricapitoliamo - mi dice - un pittore alchimista, tanto da lasciarsi quasi morire d'inedia per perseguire i suoi intenti  esoterici, almeno secondo il Vasari, chiamato a dipingere affreschi per un colto signore che si fa volentieri ritrarre fra simboli alchemici... ce n'è abbastanza per dare uno sguardo un po' più analitico su questi splendidi  dipinti in cui l'elemento mitologico, dato dalla scelta del tema pittorico, è solo un prestesto per dichiarare ben altri intenti, ben altri significati. - Non posso che essere d'accordo, sia perché l'argomento è affascinante e l'idea di analizzare gli affreschi decifrandone i vari elementi mi attrae molto, sia perché la cucina emiliana ha il potere di predisporre lo spirito alla felice convivenza, all'accoglienza; quindi mi appresto ad ascoltare il seguito di questa storia, mentre con le posate convinco dolcemente una profumatissima fetta di culatello a lasciarsi catturare...

Autoritratto allo specchio

Viaggio in Italia in compagnia di Goethe

Paolo Caliari, detto il Veronese, Autoritratto

Verona...lascerò con un velo di triste nostalgia questa splendida città. L'ho attraversata con Goethe, passeggiando lungo le sue vie, osservando la gente che per le strade trascorre tutta la giornata, lavorando o divertendosi con poco. Camminando in mezzo a questa varia umanità di ogni ceto sociale, ho goduto dei commenti del mio compagno di viaggio, che sta diventando sempre di più la mia guida. E' proprio dal suo entusiasmo che mi lascio guidare; lascio che siano la sua passione per l'arte e la sua curiosità a condurmi e sui suoi passi tutto assume nuovi contorni, nuovi colori illuminano le scene cittadine...ho la sensazione di passeggiare in un dipinto di genere.
Questa mattina Goethe mi aspettava sulla porta della locanda, impaziente di terminare la visita alle raccolte d'arte della città; indossava un paio di scarpe basse, al posto degli stivali di notevole fattura che porta di solito;  accortosi del mio sguardo interessato, dopo avermi dato il braccio ed esserci incamminati verso la Galleria Gherardini, mi ha confessato che i suoi amati stivali erano stati per lui motivo di riflessione sul carattere dei veronesi <<...benché attenda con molta negligenza ai fatti suoi, il popolo bada però con occhio acuto ai fatti altrui. Così ho potuto notare fin dai primi giorni che tutti osservavano attentamente i miei stivali, non essendo qui l'uso di portarli nemmeno nell'inverno, quasi una calzatura di troppo lusso. Adesso invece che porto scarpe basse, nessuno mi bada più. Ma ho notato con sorpresa che stamane, di buon'ora, mentre la gente andava e veniva con fiori, legumi, agli e non so quali altri prodotti del mercato, non mancava di osservare un ramoscello di cipresso che io tenevo in mano.>> Intanto siamo giunti alla galleria Gherardini, entrarvi è come un viaggio nel viaggio: Goethe si entusiasma di fronte ai dipinti dell'Orbetto, mi dichiara sottovoce, con il garbo che sempre dimostra di fronte all'Arte, il suo amore per i pittori minori, che sta scoprendo proprio in questo itinerario italiano. Definisce il patrimonio artistico italiano un cielo stellato in cui, a mano a mano che ci si avvicina << incominciano a brillare anche gli astri di seconda e terza grandezza, e ad uno ad uno tutti si presentano come facenti parte dell'intera costellazione, allora il mondo ci appare più grande e l'arte più ricca.>> Sorrido, estasiata dalla delicatezza delle sue parole, ma lui già mi sospinge dolcemente verso una tela che lo ha colpito particolarmente: raffigura Sansone addormentato in grembo a Dalila, la quale con soave fermezza accenna il gesto di afferrare le forbici, poste su un tavolo lì accanto, per compiere il tanto sospirato taglio delle chiome. Da una finestra aperta si sente il brusio della gente in strada aumentare d'intensità, voci impazienti di donne richiamano bambini scalzi e scalmanati, gli ultimi venditori stanno per ripartire coi loro carretti quasi vuoti...campane insistenti portano il mezzogiorno tra le tele della Galleria; usciamo nel sole, appagati dalla visione di tutti quei capolavori e il mio compagno mi annuncia esultante che nel pomeriggio andremo a visitare il Palazzo Bevilacqua...spero vivamente in un pranzo abbondante.



Nel silenzio del primo pomeriggio il cinquecentesco Palazzo ci accoglie, mostrandoci i suoi tesori. Goethe è impressionato dalla  tela  dipinta ad olio dal Tintoretto, intitolata "Il Paradiso". Percorre incessantemente la sua lunghezza, di oltre tre metri, osservandone attentamente i particolari, poi si allontana per godere di una veduta d'insieme e nuovamente si avvicina, attirato da una figurina  laterale: nel rivelarmi che si tratta di Eva, mi confessa di considerarla la più bella figura di tutto il dipinto e aggiunge <<...certo, per ammirare tutto questo e per provare una vera gioia, bisognerebbe possedere il quadro e tenerlo innanzi agli occhi tutta la vita.>> 


Anche i busti piacciono molto al mio compagno di viaggio e qui ne possiamo ammirare una bella collezione, non posso trattenere una risata quando egli commenta il restauro effettuato sui nasi di alcune teste di imperatori romani... Nel lasciare il Palazzo Bevilacqua, di cui Goethe mi fa apprezzare l'elegante architettura, continuiamo a commentare i ritratti del Veronese che abbiamo potuto ammirare nella quadreria. Usa il sostantivo "venerazione", per descrivere ciò che prova davanti ad un capolavoro di questo grande pittore manierista e nel farlo il suo viso si illumina per l'entusiasmo, i suoi occhi brillano come pervasi da un piacere intenso e conosciuto. Probabilmente è la mia espressione piacevolmente sorpresa che lo spinge a sussurrarmi <<Venerare con piacere, anzi con gioia il grande ed il bello è nella mia indole; e il potere di educare questa mia inclinazione naturale al cospetto di così splendide opere d'arte, giorno per giorno, di ora in ora, è la più deliziosa di tutte le sensazioni.>> Poi, nuovamente sottobraccio, riprendiamo a passeggiare. La sera è scesa sulla città quando rientriamo alla locanda, lasciando le vie che si riempiono nuovamente di gente per il divertimento serale. Ci salutiamo augurandoci la buonanotte: ceneremo nelle nostre stanze come ogni sera e poi riposeremo, perchè Goethe è molto mattiniero e la partenza per Vicenza è prevista per le prime luci dell'alba. Chiudo a chiave la porta della mia camera e tolgo le scarpe: i miei piedi sono stanchi e doloranti. Esco sul balcone per ammirare ancora una volta la bellezza di Verona; da dove mi trovo posso vedere la finestra della camera del mio compagno di viaggio, illuminata ancora dalla luce delle candele che proiettano l' ombra di Goethe, tremula ma immobile, sulla parete. Intuisco che probabilmente sta scrivendo il suo diario, come ogni sera, raccogliendo le impressioni che questa città bellissima gli ha suggerito: i capolavori dei grandi Maestri e dei minori, gli scorci pittoreschi pieni di vita, le splendide architetture dei palazzi dagli eleganti porticati, purtroppo quasi sempre invasi da immondizia e usati dal popolo per scopi non propriamente nobili...e i magnifici cipressi plurisecolari del giardino Giusti, sotto i quali Goethe mi ha raccontato dei giardini del suo Paese, dove i cipressi non si trovano e sono sostituiti dai tassi, potati  a punta per imitarne la svettante eleganza. Rientro e chiudo le imposte, domani proseguiremo il nostro meraviglioso viaggio, buonanotte Verona...




Brani tratti da
Viaggio in Italia
1786-1788
di Johann Wolfgang Goethe
nella traduzione di Eugenio Zaniboni
Titolo originale dell'opera: Italienische Reise

"Considero valore..."


"...tacere in tempo, accorrere a un grido 
chiedere "permesso" prima di sedersi
provare gratitudine senza ricordare di che..."



Erri  De Luca, Considero valore

Dedicato a Sile...


"Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
silenziosa luna?
...e tu certo comprendi
il perché delle cose, e vedi il frutto
del mattin, della sera,
del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
rida la primavera..."

da "Canto notturno di un pastore errante dell'Asia"
Giacomo Leopardi


Photo: Sile
Aria: Maria Callas, Casta Diva
da "Norma" di V.Bellini

"...troppa polvere nei miei occhi."



<< Sapessi che pena, mamma. Sono vecchio e non so perché, non so da quando.
Ieri sono caduto dalla bicicletta, mi hanno detto.
Ho sbattuto la testa, mi hanno detto.
Ho ventisette anni ma ne dimostro molti di più. Ottanta, mi hanno detto.
Ottanta? Non diranno sul serio, vero? Ottanta non li hai nemmeno tu.
Dove ho messo tutti gli anni? Non capisco.
Che fine hanno fatto le mie gioie, le mie speranze?
Le mie foto. I fiori che avrei voluto regalare.
Non mi è stato nemmeno concesso il beneficio della nostalgia. Non posso permettermela.
Come ho fatto ad arrivare fin qui? Mi è stata rubata anche la paura.
Stanotte la mia vita ha subito uno strappo. Sarei anche disposto a piangere, se sapessi per cosa.
Oggi un medico mi ha detto che questa è casa mia. Una casa enorme, piena di sconosciuti. Tanti vecchi. Io qui non ci ho mai vissuto. Ho cercato di dirlo al medico. Lui non mi ha dato ascolto ed è andato via perché ha sentito un suono provenire dalla sua giacca, si è messo qualcosa in un orecchio e ha cominciato a parlare da solo con un filo. Penso che sia matto.
Stamattina mi hanno presentato un sacco di gente nuova. Qualcuno mi ha portato dei vestiti perché non ricordo più dove ho conservato i miei. Sono vestiti adatti a una persona anziana. Ma io ho 27 anni. Sono un vecchio di 27 anni.
Vorrei tanto che qualcuno mi portasse anche dei ricordi. Ho bisogno di sapere perché. Perché lo specchio non restituisce più la mia faccia. Perché i miei capelli sono già tutti bianchi. Perché la mia mano trema un po' e si è riempita di macchioline.
Avrei voluto parlarne con Maggie. Ho provato a chiamarla, ma al suo numero risponde un'altra persona che dice di non conoscere nessuna Maggie.
Ho cercato di spiegare che è la donna che ho sempre amato. Oggi ho deciso di dirglielo prima che sia troppo tardi. Non mi hanno dato retta. Nessuno ha mai sentito parlare di Maggie.
Dopo pranzo sono andato al negozio di zio Donald. Non c'è più. Al suo posto ho trovato una rivendita di quadri di metallo con i ritratti parlanti. Anche zio Donald non c'è più.
E dire che ieri era tutto diverso. Ogni cosa al suo posto.
Oggi invece il tempo fa di me ciò che vuole. Sfregia il mio viso.
Non ho più molta voglia di cercare di capire il futuro.
Non so se mi comprerò un'altra bicicletta.
Adesso davvero non reggo il peso delle ciglia spelacchiate.
Adesso mi sento proprio stanco.
 
Troppa polvere, mamma, troppa polvere nei miei occhi. >> 


Mansardo
 
               


Testo ispirato alla vita di Henry Gustav Molaison, conosciuto dai neurologi di tutto il mondo come il paziente "H.M.", deceduto tempo fa all'età di 82 anni nello Stato del Connecticut (USA), dopo aver vissuto cinquantacinque anni senza essere in grado di costruire un solo ricordo o di memorizzare una sola esperienza quotidiana.


Painting: Vincent van Gogh
Ludovico Einaudi, I Giorni

"...a Stratford-on-Avon.."

Il Memorial Theater dedicato a Shakespeare a Stratford-on-Avon
 
<< Il mio primo mestiere, nel 1944, quando stavamo a Stratford-on-Avon dalle prozie Janie e Gracie, fu quello di guida, per autonomina, al monumento e alla tomba di Shakespeare, nella chiesa. Costavo tre pence al giro. La maggior parte dei miei clienti erano soldati americani. Shakespeare non sapevo chi fosse, salvo che in qualche modo era collegato col teatro di mattoni rossi dalla cui galleria gettavo croste di pane ai cigni. Ma la zia Gracie, ben prima che imparassi a leggere, mi aveva insegnato a recitare i versi incisi sulla lapide:

Bleste be ye man yt spares thes stones
And curst be he yt moves my bones. 

Benedetto l'uomo che rispetta queste pietre e maledetto colui che muove le mie ossa.

Le zie erano zitelle. Janie, maggiore d'età e d'ingegno, era un'artista. Da giovane aveva vissuto a Capri e disegnato schizzi di ragazzi nudi. Ricordava di aver visto Maksim Gor'kij e forse anche Lenin; e a Parigi era stata a una festa nello studio del pittore olandese Kees Van Dongen. Durante la Grande Guerra aveva lavorato, mi sembra, come infermiera. Chissà se la morte dei tanti bei giovani l'aveva spinta a dipingere le tele di San Sebastiano che giacevano sugli scaffali del suo studio? Era una lettrice instancabile di romanzi moderni. Mi diceva, più tardi, che gli scrittori americani scrivevano un inglese migliore e più limpido degli stessi inglesi. Un giorno alzò gli occhi dal libro e disse. " Che parola meravigliosa, arse! - e per la prima volta sentii il nome di Ernest Hemingway.
La zia Gracie era molto emotiva e molto sorda. Sua grande amica (e mia passione!) era la scrittrice irlandese Eleanor Doorly, che le fece conoscere i membri del Circolo di Dublino. Aveva della letteratura una visione tutta romantica. Nei giorni d'estate sedevamo a leggere sulle sponde dell'Avon. Di là dall'acqua c'era una riva chiamata Weir Brake, e la zia giurava che quella era la riva di Shakespeare dove fioriva il timo selvatico, ma io ci trovai solo ortiche e rovi. Leggevamo Song of Myself di Whitman, da un'antologia poetica intitolata The Open Road. Leggevamo The Windhover di Gerard Manley Hopkins; e leggevamo brani del libro di Eleanor Doorly su Marie Curie. La storia delle ustioni da radio che la Curie si era inflitta mi colpì profondamente.
Mi domando se zia Gracie non fosse l'ultima vittoriana a minacciare un bambino con lo spettro di Bonaparte. Una sera che facevo le bizze nel bagno mi gridò:" Se non la smetti, viene Boney a prenderti!" - e poi disegnò su un pezzo di carta un terribile bicorno nero con le gambe. Poco dopo, in un incubo, incontrai il cappello davanti a Hall's Croft, la casa della figlia di Shakespeare, e il bicorno si aprì come una valva pelosa e mi inghiottì. 
Ricordo anche una vivace discussione tra le zie, se "Misura per Misura" fosse uno spettacolo adatto a un bimbo di sei anni. Decisero che male non poteva venirne e da quella matinée in poi rimasi accalappiato. Il teatro di Stratford teneva libera l'ultima fila di platea fino al giorno della rappresentazione, e io all'alba correvo in bicicletta per assicurarmi un posto. Ho visto quasi tutte le grandi produzioni della fine degli anni Quaranta e degli anni Cinquanta - con gli Olivier, Gielgud, Peggy Ashcroft, e Paul Robeson nei panni di Otello - e per me esse restano lo Shakespeare supremo. Vissuti come li ho da ragazzo, ora non riesco a vedere uno di quei drammi senza provare un senso di perdita. >>



Brano tratto da: Ho sempre desiderato andare in Patagonia  (La formazione di uno scrittore)
di Bruce Chatwin
dalla raccolta "Anatomia dell'irrequietezza" Adelphi, 1996


Image: Incisione

Un meraviglioso viaggio

 









Il carteggio fra il poeta inglese John Keats e Miss Fanny Brawne non è soltanto una delle più belle raccolte di lettere d'amore  giunte fino a noi. Non si può credere che sia possibile contenere nella definizione "lettere d'amore" tutto il bagaglio  di sentimenti, emozioni pure che i protagonisti di questa storia hanno portato con loro, nel corso del viaggio meraviglioso che li ha condotti l'uno nelle braccia dell'altra. Il loro è stato un vero viaggio, intenso e affascinante, durante il quale hanno perduto le loro resistenze, i loro limiti caratteriali, si sono fatti entrambi foglio..e inchiostro..si sono reciprocamente riscritti, ridescritti nei loro commovimenti, nella passione profonda che ha guidato sempre il loro desiderio di incontrarsi nelle parole. Le parole scelte, amate scrivendole, caricate di un significato profondo, così puro da richiedere altre parole, altre sfumature di parole per poter esprimere tutto ciò in esse contenuto. L'Amore può aver bisogno di lunghissime lettere... file, treni interminabili di parole per esprimersi, fino a raggiungere un'intensità tale da poter concentrare la comprensione di una vita in un giorno...un meraviglioso giorno di solo amore...come spero accada alle farfalle, e a tutte le creature che non hanno a disposizione  tutto il tempo concesso  agli esseri umani, i quali quasi sempre lo impiegano  a sciuparne ogni bellezza.



"Possente amor mi chiama" Il Duca - Vittorio Grigolo



La figura maschile in pittura è ovviamente uno dei soggetti preferiti dai committenti di ogni tempo, ma nessuno stile riesce, secondo me, a descrivere l'aspetto e il carattere, tipici dell'uomo di potere del proprio tempo, altrettanto efficacemente quanto la pittura Rinascimentale. Qui l'uomo viene rivestito non solo di abiti che ne dichiarino il prestigio sociale, ma anche di espressioni del viso, gesti, atteggiamenti che mettano in evidenza il suo carisma, il livello culturale superiore, la raffinata fermezza dello sguardo che denuncia il signore potente ma illuminato, determinato ma colto e civile. Questa scena di Rigoletto illustra bene ciò di cui parlo: il Duca di Mantova  è ripreso dalla camera come se fosse il soggetto centrale di un dipinto, i personaggi in abiti scuri dietro di lui sono un richiamo fortissimo al suo tempo, alla corte cinquecentesca fitta di cortigiani. Il Duca, prima di eseguire l'aria "Possente amor mi chiama", si volta verso la finestra, in piena luce, per poi ruotare il corpo lentamente di nuovo al centro della scena: così facendo il chiaro scuro disegna i contorni del suo viso, rendendo la sua espressione ancor più altera e spavalda; respira profondamente e in questo modo carica la figura di ulteriore suggestione fino al gesto, elegante e deciso insieme, di porre le mani sui fianchi, avanzando verso lo spettatore con  notevole forza interpretativa. L'intensità di questa scena mi ha fatto pensare immediatamente ad un dipinto del Pontormo: "Ritratto di alabardiere" in cui il Maestro del Manierismo toscano ha fissato per sempre lo sguardo gentile ma fermo di un giovane; alla posizione salda del corpo si  contrappone l'eleganza della mano appoggiata sul fianco, quasi un gesto cortese, interrotto però dall'elsa della spada che, nel frapporsi tra la figura dipinta e  lo spettatore, riconduce il giudizio di chi guarda verso l'idea di forza fisica e di arrogante supremazia. Un ulteriore richiamo alla pittura del Pontormo è dato dai toni dorati e luminosi con cui il regista ha voluto illuminare la scena mantovana.



Mantova , 4-5 set 2010 Rai
Rigoletto Placido Domingo
Gilda Julia Novikova
Il Duca di Mantova Vittorio Grigolo
Sparafucile Ruggero Raimondi 
Maddalena Nino Surguladze
RAI Orchestra
Zubin Mehta- Marco Bellocchio - Vittorio Storaro


Painting: Jacopo Pontormo

"...non si vede bene che col cuore.."

Photo: Mogens Engelund

 
<<...Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!" disse la volpe, "...piangerò".
"La colpa è tua" disse il piccolo principe " io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi..."
"E' vero" disse la volpe.
"Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
"E' certo" disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno" disse la volpe "il colore del grano". Poi soggiunse: "Va a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto".
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
"Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente" disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo".
E le rose erano a disagio.
"Voi siete belle,  ma siete vuote" disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perchè è lei che ho annaffiata. Perchè è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparata col paravento. Perchè su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perchè è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perchè è la mia rosa".
E ritornò dalla volpe. "Addio" disse.
"Addio" disse la volpe. "Ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi" ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
"E' il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante".
"E' il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
"Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripeté il piccolo principe per ricordarselo.>>


Brano tratto da "Il  Piccolo Principe"
di Antoine de Saint-Exupéry

Le rose che non colsi




"Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state... Vedo la casa, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!"

Da "Cocotte" di Guido Gozzano




Painting: Vasily Andreyevich Tropinin
Aria: Maria Callas, Sì, mi chiamano Mimì, Bohème, G. Puccini