L'amore fra due persone, nella sua forma perfetta, è il passo che precede l'incontro interiore con Dio. Continuo a pensare questo, mentre ascolto il duetto d'amore di Monteverdi, "Pur ti miro". Le due voci angeliche, sublimi, della soprano e del controtenore mi portano sull'onda del dialogo amoroso assoluto, che si instaura fra due esseri amanti, coinvolgendoli nella loro interezza: corpo, anima, spirito, mente. Ascolto l'armonia delle voci e penso: che meraviglia l'amore che unisce due individui. Che grande dono l'innamorarsi fino ad amare un'altra persona. Eppure tutto il mio essere si basa sulla singolarità. Io sono un individuo, simile agli altri ma differente. Cerco la convivenza, la comunità, ma fatico a rispettare il limite del mio spazio individuale: eccedo in individualismo, eccedo nell'invadere lo spazio altrui. La fatica di vivere, per me, si riconduce proprio a questo continuo avanzare e indietreggiare. Mi muovo da singolo, mi esprimo come singolo, cercando il confronto con gli altri e la condivisione, e la mia singolarità mi conferisce la forza necessaria per essere. Ma dentro di me, io sono due. Sapere questo, sentire questa dualità interiore rende la mia fatica di vivere più complessa, la trasforma in impegno, poi in ricerca, quindi in desiderio di scoperta. Scoprire la parte che compone insieme a me ciò che sono. Scoprire l'impronta divina, non umana, che come ogni creatura porto dentro, con la quale convivo, indelebile eppure così silenziosa da poter essere dimenticata per tutta una vita.
Ascoltare il duetto amoroso di Monteverdi e scorgere in esso un dialogo interiore, è un dono che ho ricevuto da un caro amico. Un amico che ascoltando a sua volta quella meraviglia assolutamente umana, fatta di talento e di poesia amorosa, ha percepito il richiamo ad un dialogo superiore, intimo e spirituale. Ho ripreso grazie a lui l'ascolto di questo magnifico duetto, sentendo in queste voci, nella musica, nel linguaggio fatto di note, accordi, estensioni un'armonia così perfetta da sembrarmi quasi spirituale. Così l'amore per l' altro, seguendo questo percorso limpido di reciproca appartenenza, può essere letto come il raggiungimento della vetta, della sommità di noi stessi; l'assenza di pena, quel "più non peno più non moro" che ci allontana dalla nostra condizione umana, rappresenta l'ultimo passo, quello che precede l'incontro interiore con la divina impronta che è in noi, che dà vita al dialogo con essa e al raggiungimento dell'amore per noi stessi, liberato dalla nostra umana solitudine.