...pane appena cotto e un prato sotto il sole.

Istituto Professionale per l'Agricoltura 
e l'Ambiente "Cettolini" Cagliari, Sardegna
Photo by Giancarlo Dessi
 

Il fuoco di legna è una parte molto importante della mia quotidianità. Non posso concepire la mia vita senza questo elemento. Credo dipenda dal fatto che sono cresciuta con esso. Per vari motivi ho sempre vissuto accanto ad un fuoco acceso, imparando ad amarlo profondamente. C'è un forno, nella parte più remota del giardino intorno alla casa di mio padre, che lui stesso ha costruito moltissimi anni fa; c'è sempre stata una grande stufa, con la sua piastra incandescente ed accogliente per una miriade di tegami, pentole e tegamini davanti alla quale ho imparato, aspettato, condiviso. I miei ricordi più belli, non solo legati all'infanzia, ruotano intorno al fuoco: mia madre, una volta sposata, chiese a mio padre di costruire al piano seminterrato della casa una cucina rustica, spartana, in cui mantenere viva la sua maniera di prepare il cibo. Il sabato sera, estate e inverno, malgrado non ci fosse un accesso interno alla casa, scendevamo in quella cucina, tutt'ora esistente, e mia madre preparava il sugo di porcini, la cima, i ravioli, per il pranzo della domenica. Era tutto uno sfrigolare di olio e cipolla, un sobbollire di pentole, accompagnato dal crepitio della legna di erica, asciutta e aromatica. Mia madre preparava i ravioli con una tecnica che per me era davero divertente da osservare: stendeva una grande sfoglia tonda, che ricopriva interamente con un ripieno fatto con foglie di borragine, uova, parmigiano e maggiorana. Ricopriva la sfoglia con un'altra identica, facendo aderire bene il bordo e assicurandosi che non rimanesse aria fra le due sfoglie. A quel punto prendeva un piatto dal bordo liscio e sottile e partendo da un punto del perimetro cominciava a tracciare solchi paralleli sulla sfoglia ripiena, facendo rotolare il piatto fra le mani, come il volante di un'auto durante una manovra. Poi ricavava altri solchi, perpendicolari ai precedenti, convincendo il ripieno a radunarsi in quadrati gonfi e verde scuro in trasparenza, che poi ritagliava  ripercorrendo i solchi fatti dal piatto con una rotella dentata, che liberava da quella distesa geometrica bellissimi ravioli dai bordi frastagliati, simili fra loro ma non perfettamente uguali; la loro asimmetria rendeva la vista di un piatto colmo di queste delizie piacevolissima, anche dal punto di vista estetico. Credo di aver conosciuto così, per la prima volta, l'importanza della diversità, dell'imprecisione nel raggiungimento della perfetta armonia formale. Quando i ravioli erano pronti, separati con gesti rapidissimi, dolci ma decisi, dalle dita infarinate di mia madre, io ne prendevo alcuni, quelli dalle forme decisamente diverse, quelli vicino ai bordi; li appoggiavo su un punto non troppo caldo della piasta della stufa e mi sedevo vicinissima a guardare. Un profumo particolare, indescrivibile, si liberava dalla sfoglia a contatto con la piastra: un misto di pane appena cotto e di prato sotto il sole. Allora giravo sottosopra i ravioli con le dita, senza temere di bruciarmi; sapevo che avrei scottato anche le labbra, anche la lingua assaporando, senza aspettare un secondo, quel bocconcino che ritenevo di aver atteso anche troppo a lungo.

6 commenti:

Barbara ha detto...

Oggi mi sono festeggiata (ne avevo diritto): mi sono preparata i ravioli col sugo di funghi. Mia madre aveva raccolto la borraggine dall'orto e me ne ha mandato una quantità industriale.
Li ho preparati proprio come faceva mia nonna, con l'unica differenza che invece del piatto ho usato il mattarello a quadretti. Era un po' come se ci fosse lei a coccolarmi con quello che sapeva fare meglio, e a rubacchiare i ravioli piccolini del bordo c'era Alice. Rassicurante.

Fênix27 ha detto...

Quel calore, quanto è buono è qualcosa di fatto bene e con amore.
Senza ulteriori commenti su questo perché mi piaceva venire qui e incontrare il vostro spazio bello, bello e ricco di contenuti.
Sto già seguendo, spero che tu abbia un interesse a conoscere il mio angolo e se siete disposti a seguirlo, sarei molto grato.
Cheers.
http://wwwavivarcel.blogspot.com.br

red ha detto...

Barbara,
rassicurante davvero..e tenerissimo.... Grazie per averlo scritto qui, è bello sapere che certe cose resistono con ogni tempo. Ti abbraccio come tu sai.

red ha detto...

Fénix27,
grazie...mi commuove sempre vedere come certe cose, intime, siano in realtà comuni a persone anche geograficamente lontane da me...questo mi dà la percezione davvero molto preziosa di un'intimità allargata, come se i miei sentimenti, le mie emozioni fossero parte di un'animo più grande, allargato...un cuore comune. Grazie.

Sono felice che tu mi abbia condotto al tuo spazio....la grazia con cui lo hai fatto è la stessa che vi si respira. Un abbraccio.

ariodante76 ha detto...

My dearest Red, thank you for this wonderful recollection. In a much simpler way, I recall my maternal grandmother making homemade flour tortillas. How she would take the lumps of dough and flatten them with her rolling pin, and place them on the comal to cook. Like your mother's ravioli, there were imperfections... her tortillas were not a uniformly round shape, like you find in grocery stores. There were blackened spots, from the heat of the comal, also translucent spots, where the rolling pen had pressed down harder.

It didn't matter what meal my "buelita" prepared... be it arroz con pollo, or whatever else... there was always the round container with a clean towel inside, wrapped around the warm flour tortillas.

red ha detto...

Thank you my dear friend, you described your grandma so well that I can really see her...even hear the "sound of cooking", so different from everyone else, because of the strength of personal memories, but at the same time so equal to anyone in all the places of the world where someone works, with love, to feed others.

Un abbraccio