John Singer Sargent, The sketchers (1914) |
Grazie a questa quarantena quello che sta per arrivare sarà probabilmente il primo 25 Aprile datato della nostra storia. Per la prima volta, dopo decenni di strenua e continua Resistenza, questo giorno e tutto ciò che significa sarà costretto, se andrà bene, su fogli elettronici o dentro documentari pallidi di una memoria in bianco e nero. Non sarà così per tutti, certo che no. Non per me, ad esempio, né per tutti quelli come me. Noi abbiamo i colori e i suoni di questo giorno impressi nel DNA come un tratto del viso, come la curva del polso. Ma il resto? La "coscienza collettiva"? La "società"? Sento arrivare insieme a questo 25 Aprile il disagio intirizzito di una povertà. Mancherà il passo baldanzoso da ricalcare, mancherà il vento sulle montagne, la voce dell'aria, toccare con mano le pietre in precario equilibrio di casoni sparsi sui pascoli, mancherà la gente in tutto questo. Passerò questo 25 Aprile a casa, nell'omologazione travestita da uguaglianza che ci vuole tutti sportivi e cuochi provetti. Guarderò fuori dalla mia finestra, viva e liberata per sempre dal valore simbolico di quel giorno, appunto struggente, urgente, importante, benedetto, trascritto a matita su immagini che stanno per diventare vecchie fotografie. Non lo perderò mai questo giorno, nemmeno se non dovessero più esistere calendari, ma sento, temo, che perderò la sua gente, quella che ero felice di incontrare in quel giorno e in cui mi riconoscevo. Il 25 Aprile è il raggio di sole che mostra la sedia e la giacca e annienta la sagoma nera che appariva vera. C'è la Verità di appartenere racchiusa in questo giorno. Quest'anno non vedrò altri come me, non potrò unirmi a loro, non li ritroverò, come dopo una catastrofe immane, come dopo la fine del mondo, solo che il mondo non è mai finito.
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