Da dentro





Ho trovato per caso questo video in rete, è talmente bello che mi è venuta voglia di scriverne. È un film vero e proprio, pluripremiato, commentato dalla voce di un grande attore, Riccardo Cucciolla, che legge testi di Manlio Brigaglia, grande storico e conoscitore della cultura sarda. Il commento parlato è molto interessante, fornisce particolari sulle usanze, ma ha un "tono" che non mi piace, parla di Sardegna, la spiega, come se fosse una galassia lontana. A me invece questo film ricorda il paese di mia nonna paterna, le strade di pietra, le donne vestite di nero, la vita in comune, per le vie, la comunità. Le foto del matrimonio dei miei genitori sono in bianco e nero, ma il paesino davanti al mare di Levanto ha gli stessi colori di pietra e semplicità. Per ambizione, per vezzo e forse imbarazzo nelle foto dei miei genitori non si vedono le pecore che invece erano in giro, nei prati, negli ovili. E poi le donne che cucinano, i gesti, li riconosco, li ho visti, il modo di stare chine, il modo di girare un cucchiaio in una pentola. In questo film, rispetto ai miei ricordi liguri c'è qualcosa di più, c'è il gusto, lo stile sardo. Ho tolto l'audio per godermelo in santa pace. Mi piace il corteo serio, composto, che attraversa il paese. Mi piace il colore intenso della sala da pranzo, le padelle di rame lustre, ordinate, le caffettiere appese ai chiodi con una semplicità che è Bellezza. È molto più bello visto senza audio, non c'è nemmeno bisogno della musica, la danza è ovunque, nel corteo, nelle donne che offrono antichi gesti di buon augurio, nelle donne che cucinano e che servono i dolci sistemati sulle alzate e nei cesti con un amore per il bello che commuove. Senza l'audio sono le scene a parlare, sono così autentiche che quando il film è finito mi sembra di aver ascoltato voci e passi, e respiri. Ero a Ittiri il primo giorno dell'anno. Guardavo la campagna verdissima, la macchia, il monte Torru, quando un piccolo gregge è arrivato di corsa da dietro la collina e ha sfilato davanti a me. Non vedevo un gregge da quando ero bambina, e passavo le vacanze estive nella casa della mia nonna paterna da cui si vedeva il mare. Il film comincia con l'arrivo di un pastore che conduce le sue capre. Lo guardo, penso alle pecore della mia nonnina, penso alle pecorelle di Itiri Cannedu e mi dico che non è così, non si può capire la cultura della terra e del pascolo guardandola da fuori. A Ittiri sono rimasta immobile, lasciando che l'onda riccioluta e soffice mi passasse accanto. C'è qualcosa di misterioso nel passaggio di un gregge, gli animali corrono come suorine in ritardo per la messa, non hanno corde o guinzagli ma sono tutti legati fra loro e al loro pastore. C'è un patto doloroso e magico in un gregge che passa.

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