" La Poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve." ( Massimo Troisi, "Il postino")


Massimo Troisi in una sequenza del film "Il postino"

Prendo atto con un po' di rammarico e una discreta dose di indignazione, che ancora molta gente crede che dedicare la maggior parte del proprio tempo alla ricerca e conoscenza della Bellezza, intesa come somma di tutte le Arti più nobili, sia un quotidiano trasloco in una rosea realtà senza sostanza. " C'è gente per cui le arti stan nei musei" direbbe con una sintesi più efficace il grande Paolo Conte. Il fatto è che da troppo tempo ormai sembra dominare nella comunicazione di massa la convinzione che esporre, mostrare il male, l'errore, il reato sia educativo al suo contrario. Anche supponendo che noi esseri umani ci siamo differenziati così tanto dai nostri parenti stretti, da Lucy, da perdere ogni apparenza di parentela, credo sia davvero azzardato dire che insieme alla coda abbiamo perso anche altre attitudini scimmiesche, fra cui la predisposizione ad imparare seguendo un esempio. Certi giorni, quando la cronaca pesca senza pietà nei lutti privati, nei drammi privati per coprire magari quelli nazionali, ho la sensazione, soprattutto accendendo la tv, che tra fiction e news si viva talmente immersi nella delinquenza, nella corruzione, nella malavita da crescere o invecchiare nelle stesse condizioni culturali in cui vivono i ragazzi dei quartieri degradati delle periferie urbane. Facciamo parte, tutti noi Italiani, di una società emarginata. Già. In passato erano i singoli individui a correre il rischio di essere messi ai margini della società, a causa del loro comportamento o del loro livello culturale oltre che economico. Oggi ho la sensazione che quella italiana, la mia, sia un'intera società ai margini, rispetto agli esempi più avanzati con cui possiamo confrontarci e che i parametri non siano più solo comportamentali, culturali, economici ma siano diventati qualcosa di più: etici. Non voglio però parlare anch'io dei cattivi esempi. Scrivo di questo, oggi, perché ho voglia di descrivere, nel modo più vivo a me possibile, quanto sia potente la Bellezza e come sia fondamentale nella costruzione della nostra vita, quanto non solo non rappresenti una via di fuga dalla realtà, ma l'arricchisca, la riveli, la renda vivibile. Chiedo aiuto all'Arte, perchè la mia descrizione sia più efficace e rievoco a parole una sequenza tratta dal film "Il postino" di Michael Radford, ultima, immensa interpretazione di Massimo Troisi. Nella scena Mario sta appoggiato al davanzale della piccola finestra della sua camera. La macchina da presa lo inquadra di profilo e solo la sua figura è illuminata dalla luce che entra dalla finestra aperta. È una scena molto simbolica, molto ben costruita, perché dietro la figura di Mario e tutto intorno ad essa, domina una cupa penombra, bruna di tufo e umidità salmastra, perfetta rappresentazione scenica dell'ignoranza, dell'analfabetismo, dell'oscurità culturale. Nel mezzo di questa scena così buia Mario legge il libro di poesie di Neruda alla luce del giorno, appoggiato al davanzale. Poi lo chiude e con un gesto che ricorda una carezza di gratitudine estrae un foglio, impugna la penna, solleva un po' il mento e chiude gli occhi. Allora la macchina da presa stacca l'inquadratura e la riprende alle spalle di Mario, in piena luce e rivela che davanti a lui c'è una veduta magnifica del mare che si infrange sugli scogli in bianche onde di spuma. È una scena commovente perché accade proprio questo, quando la Bellezza insegna: rivela il significato più profondo delle cose, rivela che, come dice Mario:-...il mondo intero...allora è la metafora di qualcosa.. - La Bellezza insegna e lascia in eredità non solo ciò che ha insegnato, ma anche la capacità stessa di imparare. Nel suo ultimo saluto a Don Pablo, Mario lo dichiara ancora una volta con semplicità estrema:- Quando siete partito, io pensavo che vi eravate portato tutte le cose belle con voi. Ma invece adesso...lo so. Adesso ho capito che...m'avete lasciato qualcosa.. -


L'odore delle città

Lawrence Alma - Tadema
A coin of vantage
(particolare)


In questi giorni ho avuto il piacere di leggere un articolo molto bello, pubblicato sulla rivista Archeologia viva , intitolato " Rosantico, un fiore per Afrodite". È  dedicato ad una mostra che si è aperta il 23 marzo scorso presso il Museo archeologico nazionale di Paestum e che fino al 31 ottobre celebrerà la fama delle coltivazioni di rose profumatissime che circondavano i templi di Paestum nell'antichità. Non ho potuto fare a meno di viaggiare un po' nel tempo, complice la citazione riportata in testa all'articolo, tratta dalle Georgiche di Virgilio: " Se non fossi al termine delle mie fatiche...canterei dei roseti di Paestum che fioriscono due volte l'anno", e mi sono unita idealmente ai viaggiatori del passato, che avevano la possibilità di ricordare le città che più avevano amato visitare non solo per le bellezze architettoniche e artistiche che vi avevano ammirato, ma anche per l'odore delle strade, per le fragranze disperse nell'aria. Cerco di immaginare cosa dovesse essere passeggiare nelle vicinanze dei roseti di Paestum, respirare lentamente il profumo delle rose sotto il sole, o nel vento più fresco dell'autunno. Viaggiare in antico era anche o forse soprattutto questo. L'assenza di polveri sottili nell'aria delle città permetteva ai viaggiatori di sentire ogni più delicata fragranza e di farne colore, musica, strofa per fissarla nell'immaginario collettivo e perpetuarne la misteriosa magia. Penso a Goethe, al suo Canto di Mignon, " Kennst du das Land...Conosci il Paese dove fioriscono i limoni?/  Nel verde fogliame splendono arance d'oro/ Un vento lieve spira dal cielo azzurro/ Tranquillo è il mirto, e sereno l'alloro/ Lo conosci tu bene? ", quel vento lieve, che spira dal cielo azzurro è lo stesso di Paestum e i profumi che reca con sé sono tutt'ora vivi, intensi, immaginabili, come lo è quello dei roseti. Eh sì...i viaggiatori di un tempo avevano cieli azzurri, profumi e Poeti che sapevano cantarli.  Grazie alla loro voce i viaggiatori di oggi, certi viaggiatori, possono ancora percorrere le stesse strade, oltrepassare le porte delle città e respirarne il profumo. Mi sono fermata di recente a Sassari, guidata da Gaston Vuillier che la descrisse alla fine dell'ottocento, nel tempo in cui era ancora circondata dai suoi orti preziosi, quelli che hanno dato vita ad un Gremio fiero ormai di 500 anni di storia. "Sulla stessa soglia e all’interno vi sono mucchi di magnifiche mele lucide dal bel verde tenue, che si chiamano melappio. Fra le sale basse ve ne sono di colme, ed il loro soave odore vi segue lontano nella strada." Così passeggiava per Sassari il signor Vuillier, incredulo di tanta inaspettata bellezza e così io immagino sia l'odore di questa città, da quando l'ho percorsa a piedi insieme a lui, leggendo. L'odore di una città un tempo raccontava al viaggiatore il carattere dei suoi abitanti, quanto fosse lontano il mare, di cosa vivesse la gente. Dall'odore delle lavorazioni artigiane, dal profumo dell'aria si poteva capire di essere giunti alle sue porte, era il preludio alla sosta, al rifocillarsi, all'accoglienza. Da piccola, quando ancora le gite domenicali erano vere traversate oceaniche per me, ricordo che mi accorsi di essere arrivata a Monterosso perché sentii nell'aria l'odore delle acciughe sotto sale. Quando entrammo in paese, dalla parte della montagna, passammo in effetti davanti a numerose cantine aperte; sulle soglie donne di un'età indefinibile stavano chine su grandi vasi di vetro cilindrici, appoggiati a terra, li riempivano di acciughe  e sale e li chiudevano con un disco di ardesia scura, fermato da un sasso. Tutto attorno cassette, "platò", di acciughe argentate e fragranti e odore di mare aperto e di salmastro, indimenticabile profumo di un piccolo, grande viaggio.
 


Concerto all'aperto

 Natura morta con prugne, ciliegie e conchiglie
acquerello su carta


La pioggia di ieri e le burrasche che l'hanno portata fin qui hanno rinfrescato l'aria e le cicale, oggi, cantano con maggior impegno del solito.  Questa mattina, mentre ascoltavo Mozart (W. Amadeus), dalla finestra aperta entrava il loro canto. È incredibilmente bello l'effetto che produce la loro voce insistente sulle note di Mozart: sembra di ascoltare un altro Mozart (padre) e la sua Sinfonia dei giocattoli. A volte ho l'impressione che l'Armonia sia una tela di ragno, una trina finissima fatta di punti e linee che si uniscono e che tutte le voci dell'Umanità e della Natura siano comprese in essa,  in eterna conversazione, in quotidiano concerto.

Dopo Carosello


La televisione italiana è l'unico spazio in cui, se si guarda indietro nel tempo, si ha l'impressione di progredire. La ragione è tanto semplice quanto deprimente: l'intera programmazione televisiva che entrava nelle case degli Italiani, soprattutto fino all'avvento del colore, era permeata da una solida, certissima intenzione didattica da parte di chi ne aveva la cura. In effetti si potrebbe affermare che non sia stata la tv ad entrare nelle case, almeno fino all'alba della televisione commerciale, ma che essa stessa abbia portato gli Italiani, i suoi spettatori, fuori dalle mura domestiche e dai confini delle loro comunità. Questa riflessione, tanto frequente ormai in casa mia da essere  quasi banale, è tornata urgentemente necessaria dopo aver assistito al deludente copia-incolla trasmesso su RAIuno col titolo di "Carosello reloaded". Purtroppo i motivi di riflessione sono davvero molti e forse sarebbe del tutto inutile parlarne, data l'evidenza del pessimo uso che si sta facendo di un caposaldo della cultura ( e sottolineo cultura) popolare italiana. Tuttavia c'è un dettaglio, nella povera e martoriata sigla iniziale di questo capolavoro violato, che non solo ritengo meritevole di attenzione , ma ancor più urgente di un richiamo, di un grido d'allarme. Gli autori di questo scellerato copia-incolla hanno pensato di " attualizzare" i siparietti regionali, confezionati a suo tempo con quel gusto "finto Settecento" che imperava nelle vetrinette dei salottini buoni, inserendo nei paesaggi delle allora più conosciute città italiane alcuni personaggi che immagino dovrebbero rappresentare gli Italiani di oggi. Sono tutti inserimenti assolutamente discutibili, ma il tipo con mountain bike, che fa allegramente saltare il tufo di Piazza del Campo a Siena, merita un'attenzione particolare. Questo siparietto, infatti, potrebbe tranquillamente essere preso a simbolo dell' inconsapevolezza degli Italiani riguardo al proprio Paese, alla propria cultura. Siamo davvero diventati così, come la tv e la pubblicità ci rappresentano? O siamo ancora capaci di capire la bellezza in cui siamo immersi, malgrado tutto. Mentre Pompei rischia di perdere la tutela dell'Unesco, un idiota sgomma sul tufo di Piazza del Campo in pieno Palio, sorridente e soddisfatto. E nemmeno una nerbata didattica a farlo rinsavire. Mia figlia sa del Carosello di quando ero piccola e dell'importanza che aveva per noi bambini e ragazzini di allora: ci permetteva di addormentarci sereni, al buio, l'immaginazione affollata di personaggi teneri, buffi, astuti e scorretti, disonesti e altruisti ma tutti sempre esposti al saggio giudizio di un prezioso e ancora abbastanza diffuso buon senso. Oggi c'è da sperare che quest'ultimo compaia in uno spot, acquistabile in confezione maxi o in rotoloni lunghissimi, così da poterne fare buona scorta, ma la pubblicità, si sa, non perde tempo a promuovere i beni primari.




In love with Shakespeare (20)

Domenichino
La Sibilla Cumana
Roma, Musei Capitolini
( Image: Wikimedia Commons )


Sonnet 76


Why is my verse so barren of new pride,
So far from variation or quick change?
Why with the time do I not glance aside
To new-found methods, and to compounds strange?
Why write I still all one, ever the same,
And keep invention in a noted weed,
That every word doth almost tell my name,
Showing their birth, and where they did proceed?
O! know sweet love I always write of you,
And you and love are still my argument;
So all my best is dressing old words new,
Spending again what is already spent:

   For as the sun is daily new and old,
   So is my love still telling what is told.



 


Sonetto 76

Perché il mio scrivere è così disadorno di nuova bellezza,
Così distante da una grammaticale  o musicale variazione?
Perché secondo il tempo altrove non mi scaglio
Verso un nuovo stile, e opposti neologismi?
Perché ancora ne scrivo, e solo e ancora di questo,
E insisto nell'inventare la bellezza che è già nota,
Così che ogni parola dichiari del tutto il mio nome,
Mostrandone l'ascendenza, e da dove essa provenga?
Oh! Sappi amore che di te solo scrivo,
E tu e Amore per me il solo argomento siete;
Così nel rivestire di bellezza vecchie parole sta ciò che io sono,
Spendendo ancora generosamente ciò che ho già speso:

Poiché come il sole ogni giorno si fa nuovo e vecchio ,
Così è il mio bene nel dire ancora ciò che è detto.

Traduzione red