L'alba...dentro l'imbrunire

Diego Velásquez  La Cena in Emmaus


" E il mio maestro m'insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire"
Franco Battiato Prospettiva Nevskij


Piccola considerazione sul viaggio


Il viaggio è la metafora più bella, poetica, efficace per definire la vita. La vita è una proiezione continua di ciò che sarà, attimo dopo attimo. Da piccola andavo a trovare la mia nonna paterna in treno ed era un viaggio vero e proprio, atteso durante la costante immobilità dei giorni ordinari e sempre uguali. Ricordo che salivo sul treno e mi sedevo accanto al finestrino per guardare fuori. Inizialmente mi sedevo rivolta verso la direzione di marcia, ed ogni casa, ogni galleria lungo il percorso, ogni scorcio di mare, erano per me immagini del dopo, di quello che viene dopo la curva, dopo l'attesa. Spesso però, facendo inquietare mia madre, mi sedevo in senso contrario e guardavo il mondo partire a sua volta e allontanarsi da me: i pali della ferrovia correvano verso un dove molto divertente da immaginare e mai uguale; mi piaceva pensare che mentre tutti i viaggiatori erano rivolti col pensiero alla meta, alla stazione di arrivo, c'era tutto un mondo che correva in direzione contraria e non era trascurabile. Col tempo quel gioco infantile molto divertente si è radicato in me in forma di piccola verità, forse di filosofica intuizione e senza rendermene conto ci ho costruito sopra parte di ciò che sono oggi. Sì, perchè esiste il viaggio che si intraprende per cercare, per scoprire, per avvicinarsi, ma anche quello di ritorno. Sono sempre stata assorbita dal primo: i preparativi, la scelta della meta, volontaria o forzata, la fatica e il tempo necessari per raggiungerla, fosse essa un pensiero, un luogo, una persona da comprendere di più. Il viaggio di ritorno invece è sempre avvenuto senza una particolare preparazione, quasi fosse ritenuto da me inevitabile e per questo non urgente di particolari attenzioni. Ora, forse per via dell'età che, avendo io stabilito di vivere fino a cent'anni, è quasi la metà esatta del percorso, mi ritrovo seduta in senso contrario a quello di marcia; per un po', mica per tutto il viaggio. Scopro così che c'è molto nel ritorno, che ancora un mondo corre rapito verso un dove incredibile da immaginare. Sto tornando anch'io da un viaggio importante, per cui avevo molte aspettative. Posso quasi "vedermi" scivolare via all'indietro, mentre guardo fuori dal finestrino del treno che mi porta inesorabilmente avanti. 
Ho riletto il viaggio ad Emmaus che Luca riporta nel suo Scritto. È un viaggio di ritorno, passi a ritroso su un percorso vuoto dei sogni che lo avevano fatto riplendere all'andata. Posso riconoscere nei due che tornano tutta la stanchezza, la delusione, la resa della mia età, la stessa noncuranza per il cammino a ritroso dalle loro apettative. Ma c'è anche qualcuno che insegna loro, camminando. Qualcuno che aiuta a trovare un senso al viaggio di andata, anche se non ha portato ciò che ci si aspettava. Non entro nel merito della fede, pur avendo preso come riferimento un Testo Sacro. Mi fermo all'insegnamento filosofico, che traspare dagli eventi di questo viaggio: i due che vanno, lamentando un dolore profondo, esistenziale in senso assoluto, sono affiancati da uno straniero, che cammina loro accanto e risponde al loro disorientamento con la conoscenza, che è sempre stata scritta, sempre stata lì. Poi giunti ad Emmaus, seduti ad una tavola, lo straniero si presenta, mostra la sua identità e quando loro sono in grado di guardarlo e riconoscerlo ecco che non lo vedono più. Però sono sollevati dall'oscurità del loro dolore, anche se rimangono soli al tavolo di quella locanda. Così, nuovamente, partono per Gerusalemme, per portare il messaggio che hanno ricevuto a chi è rimasto in quella città. Gerusalemme. Che era la meta. Luca scrive " fecero ritorno a Gerusalemme". Tornarono indietro, verso la meta. Ma presumibilmente avranno rifatto in seguito la via per Emmaus, che era il ritorno e non sarà stata più la stessa. Nell'imbrunire si può vedere lo splendore atteso dell'alba.

Dialogo, muto



Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi cosí d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.



Francesco Zaffuto  "Asino perplesso" olio su tela ( 1998 ) cm 40x60

Eugenio Montale, da Ossi di seppia/Mediterraneo


Un grazie di cuore a Francesco Zaffuto per avermi concesso il piacere e l'onore di illustrare questa pagina con uno dei suoi capolavori.

Ad una Voce attesa




Accade all'improvviso, come quando il vento cambia direzione e tutto muta: odori, colori, percezione della sostanza delle cose. Così accade e ti accorgi che non possiedi solo una bocca, ma due. Da piccoli, quando qualcosa ci si para davanti in tutto il suo mistero e non conosciamo ancora il limite fastidioso della paura, afferriamo quel mistero tangibile e lo portiamo alla bocca. Assaporiamo il mistero, con le papille gustative, come fosse pane e tale rimane per sempre. Così accade per ogni cosa che avviciniamo da soli e la bocca è il punto di arrivo e di partenza del mistero; è dove il mistero diventa conoscenza e si trasforma, uscendo parola. Ma le bocche sono più d'una e ci si accorge dell'altra all'improvviso, come cambiasse il vento. Si scopre all'improvviso che esiste un punto cui accostare misteri nuovi e difficili da esprimere in altro modo che non sia ad esempio scrivere e parlo di questo, perché questo è il mio. Questa è la mia seconda bocca, e di chi come me scrive. A questa avvicino il mistero che la mia infanzia interiore si trova davanti e con essa lo assaporo e lo tocco. In essa entra il mistero ed esce, espresso in parola scritta. Per essa passa altro pane, che nutre pensieri e intuizioni, che apre abissi immensi e distende deserti senza fine. Non è mai chiusa. Non è mai muta. È ciò che fa di me un flauto, in cui il pensiero entra ed esce nelle armonie che conosco e possiedo; è il mio portavoce.

Scene da un Hopper

Edward Hopper
" Room in New York "


NOTTURNO


<< Non andare via...>> 


<< Non sto andando via. >> 


<< Lo sai che la mia vita finirà, se te ne vai. >>


<< Perché parli così...? Cosa ti fa pensare che me ne andrò?>> 


<< Il tuo vestito >> 


<< Il mio vestito? Quale? >>


<< Questo che indossi ora, rosso. >> 


<< Pensi che lo abbia indossato per andarmene? >> 


<< Sì >> 


<< Non è così. Amo questo vestito, lo sai. Come amo te >> 


<< Sì, nello stesso modo. >> 


<< Cosa vuoi dire...>>


<< Mi ami come un vestito che hai indossato >> 


<< Dalle tue parole sembra che io ti abbia usato. Ti senti usato? >>


<< Sì. Non andartene. Potrei alzarmi adesso, accartocciare questo giornale tra le mani fino a renderlo inservibile. Potrei farlo con te. >>



<< Non lo faresti mai >>


<< Se ne fossi capace, piangerei >>


<< Non ne sei capace. >>


<< A che ora arrivano June e Doug...? >> 



<< Alle nove >>


<< Andrai via, lo so >> 


<< Sì >> 


<< Quando...>>


<< mai... >>