Isola di Sardegna

Fino a non molto tempo fa, se mi avessero chiesto di interpretare il nome Sardegna, avrei cercato di descrivere un'isola, perché così la vedevo: una grande isola, contenitore naturale di innumerevoli meraviglie che non ho mai visto, o almeno non ancora. È facile pensarla così, immaginarla così. Un'isola è un concetto semplice. Quando poi, come la Sardegna, l'isola contiene una cultura ancora viva, lingua che non ha ancora deciso di arrendersi, tradizioni, colori, questo concetto è ancora più semplice. Eppure noto da sempre, da quasi tutti i cinquant'anni che ho vissuto fin qui, che moltissime persone, che come me vivono fuori dai suoi confini, le si accostano con notevole pressapochismo. Lo vedo negli articoli dei quotidiani nazionali, nei servizi giornalistici in tv, nelle ambientazioni di certi film (emblematico "Una piccola impresa meridionale" di Papaleo, che dipinge una dorata Puglia con i colori inconfondibili del Sinis), nell'idea di Sardegna come paradiso balneare tout court. Mi chiedevo il perché di questo, di questa visione approssimativa, anche prima di accostarmi alla sua terra. E non capivo. Perché l'identità sarda, le tradizioni, almeno quelle che hanno oltrepassato il mare e sono approdate in continente, sono così forti e definite, accentate, come la sintassi sarda, che mi è sempre parso impossibile non averne una visone netta, indimenticabile proprio in virtù della sua limpidezza. Poi, finalmente, è toccato a me oltrepassare, amzi sorvolare, il mare. Vedere un vasto tratto del suo territorio sorvolando la sua parte nord occidentale e poi atterrare e camminare a fatica di gambe, a misura di passi, su un piccolissimo fazzoletto di quel territorio, mi ha permesso di capire che il concetto di isola è troppo piccolo per identificare, memorizzare, indicare convenzionalmente, geograficamente, culturalmente la Sardegna. La Sardegna non è un'isola, è un continente.

Immagine da Internet

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