Isola di Sardegna 2

In questi giorni un grande attore napoletano, Toni Servillo, sta leggendo per Radio 3 Rai il romanzo di Salvatore Satta Il giorno del giudizio. È una lettura preziosa, non solo per la splendida voce che la esegue come una partitura. È preziosa perché Sardegna letta da una voce forestiera. Servillo è un attore grandissimo, capace di dare vita alle parole, di farle vibrare. Nella nota in calce alla lettura si dice sia stato lui  stesso a proporre questo romanzo ai curatori del programma Ad alta voce  e si fa cenno al suo interesse personale per i luoghi del romanzo. Servillo dà voce a parole sarde, scritte in italiano ma concepite da una mente sarda, da un intelletto sardo, intriso di sardità, parte del continente Sardegna. Satta scrive il romanzo fuori dai confini della sua isola; un appunto scritto a mano in cima alla prima pagina del manoscritto recita: Fregene - 25 luglio 1970, ore 18. Sono convinta che uscire dai confini di un continente come la Sardegna sia fondamentale, per poterne parlare, per poterla guardare tutta insieme, anche solo un paese, una bidda, anche solo una strada di città murata. Si deve uscire per parlarne, se si è sardi. Non so dire perché, non essendo io sarda. Credo invece di poter dire il mio possibile perché riguardo l'importanza di essere di fuori, forestieri, nel dare voce a un romanzo sardo. Ascoltare Servillo è una specie di conferma alla mia idea di perché. Servillo non usa alcun codice riconoscibile, identificabile come sardo. Non pronuncia nemmeno correttamente il nome di quella che sembra essere la città identitaria di questo romanzo: Nùoro, che lui pronuncia Nuòro, all'italiana. Nel corso della lettura poi, la sua altissima professionalità, il suo talento di attore, di regista di parole, vengono messi a dura prova dalla costruzione dei periodi, molto sarda, un alternarsi di sintesi e descrizione fitta, indicibilmente armonico e bello. Servillo riesce a sostenere questo carico, a riempire la voce di così tante suggestioni e aperture, senza che il senso della scrittura di Satta se ne esca via; e riesce a leggere senza perdere la propria identità, lasciando anzi innumerevoli sonorità partenopee a colorare contrappunti, pause, precisazioni, definizioni. Questo dà vita a una sonorità particolarissima, fatta di rispetto per la parola letta e di temperamento del lettore, ma anche di quella cosa così importante in ogni relazione intellettuale, così necessaria, così q.b. come il sale: l'ignoranza. Nella lettura di Servillo si può sentire a tratti l'incertezza della non conoscenza. Può essere il significato di certe parole in sardo logudorese, o di un cognome, non importa: già nelle prime pagine si sente che Servillo non conosce interamente ciò di cui sta leggendo, e che non basta avere talento ed essere italiani per leggere nel modo giusto pagine italiane pensate in sardo, che parlano di sardità. Tuttavia è proprio qui, in questa mancanza, che sta l'importanza della lettura di Servillo. Perché in essa è possibile ascoltare, verificare una possibile ragione per cui da fuori si guarda alla cultura sarda con approssimazione: la vastità. La Sardegna è un'isola capace di contenere la cultura ricca e multiforme di un continente, ed è questa, la sua vastità, che da fuori non è possibile cogliere in un unico sguardo. Non si può conoscere, tenere a mente, ricordare ogni aspetto, ogni dettaglio della sua storia, della sua biodiversità; qualcosa sfugge a noi che stiamo oltre il suo mare, qualcosa ci manca e credo sia questo a portarci lì, a chiamare molti di noi lì, su quella terra emersa di grande bellezza.


Il giorno del giudizio di Salvatore Satta letto da Toni Servillo, 1


Isola di Sardegna

Fino a non molto tempo fa, se mi avessero chiesto di interpretare il nome Sardegna, avrei cercato di descrivere un'isola, perché così la vedevo: una grande isola, contenitore naturale di innumerevoli meraviglie che non ho mai visto, o almeno non ancora. È facile pensarla così, immaginarla così. Un'isola è un concetto semplice. Quando poi, come la Sardegna, l'isola contiene una cultura ancora viva, lingua che non ha ancora deciso di arrendersi, tradizioni, colori, questo concetto è ancora più semplice. Eppure noto da sempre, da quasi tutti i cinquant'anni che ho vissuto fin qui, che moltissime persone, che come me vivono fuori dai suoi confini, le si accostano con notevole pressapochismo. Lo vedo negli articoli dei quotidiani nazionali, nei servizi giornalistici in tv, nelle ambientazioni di certi film (emblematico "Una piccola impresa meridionale" di Papaleo, che dipinge una dorata Puglia con i colori inconfondibili del Sinis), nell'idea di Sardegna come paradiso balneare tout court. Mi chiedevo il perché di questo, di questa visione approssimativa, anche prima di accostarmi alla sua terra. E non capivo. Perché l'identità sarda, le tradizioni, almeno quelle che hanno oltrepassato il mare e sono approdate in continente, sono così forti e definite, accentate, come la sintassi sarda, che mi è sempre parso impossibile non averne una visone netta, indimenticabile proprio in virtù della sua limpidezza. Poi, finalmente, è toccato a me oltrepassare, amzi sorvolare, il mare. Vedere un vasto tratto del suo territorio sorvolando la sua parte nord occidentale e poi atterrare e camminare a fatica di gambe, a misura di passi, su un piccolissimo fazzoletto di quel territorio, mi ha permesso di capire che il concetto di isola è troppo piccolo per identificare, memorizzare, indicare convenzionalmente, geograficamente, culturalmente la Sardegna. La Sardegna non è un'isola, è un continente.

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