" Una certa persona "


Ieri ha preso il via la novantaseiesima edizione del Giro d'Italia, con mia grande gioia perchè seguo questa corsa sin da quando ero bambina e andavo a veder passare Gimondi sulle curve del Bracco. Ieri mattina però, all'entusiasmo con cui mi accingo a seguire i notiziari e le dirette dalla corsa, si è aggiunta una tristezza che non ci ha messo molto a diventare indignazione: stavo ascoltando distrattamente un GR, forse l'Uno, quando mi ha colpito come un pugno allo stomaco una breve dichiarazione di uno dei partecipanti, un ciclista italiano di cui purtroppo non ho potuto ascoltare il nome. Raccontava di un' edizione precedente che si correva su una delle salite di questo Giro e nel descrivere le difficoltà dell'arrampicata, delle pendenze e delle insidie del percorso ha aggiunto che al tutto si era unita, allora, l'insidia della presenza di "una certa persona". Il tono con cui questo sinonimo così vago eppure proprio per questo così esplicito è stato pronunciato esprimeva rispetto, ammirazione, ovvia superiorità della certa persona in questione, ma nessun nome è stato aggiunto alla dichiarazione, nessun soprannome che rendesse in qualche modo merito e onore al campione in questione. Il giornalista non ha aggiunto altro, ma ha tagliato l'intervista proprio in quel punto, facendo terminare il servizio su quel " una certa persona", che a quel punto ha assunto un enorme peso, una forza quasi deflagrante. Bravo. Alla tristezza improvvisa, immediata, per l'ennesimo cedimento alla sistematica e continua censura della memoria e del talento di Marco Pantani, si è aggiunta l'indignazione, feroce, quasi difficile da controllare. Mi sono tornate in mente le molte parole, volgari e miserabili, assunte così facilmente dal gergo nazionale quotidiano in questi anni: i bunga bunga, i porcelli legislativi, i vaffa moralizzanti, i dicotuttoeilcontrariodituttotantoèuguale. Poi ho pensato a Marco Pantani. Non solo come uomo, ma come parola. Manca tantissimo questa parola nel linguaggio di oggi. Manca poter attendere il periodo dell'anno in cui sentirla risuonare da ogni schermo, da ogni radio e in ogni lingua del mondo. Manca sentirla pronunciare e far rimbalzare su di essa tutti i paragoni possibili, disponibili, per gustarne il buon sapore di vera umanità. Per questo va detta ad alta voce, pronunciata in ogni occasione possibile. - Chi è Marco Pantani? - ha chiesto mia figlia, incuriosita dal calore della mia reazione. Le ho risposto descrivendole quello che di Pantani ho visto con i miei occhi. Sul resto non posso dire niente, non ho potuto vedere niente con i miei occhi. Avevo la voce emozionata nel raccontarle di quando, al Giro del 2000, sul colle dell'Izoard fece da gregario a Garzelli, dimostrando l'umiltà di cui solo un vero campione dispone e quando ho terminato il racconto era emozionata anche lei. Credo che non dimenticherà questo nome, Marco Pantani. Per uno che non ha il coraggio di pronunciarlo, uno che lo trasmetterà in un tempo ancora da venire. È già molto. - Perché non hanno detto il suo nome? - ha chiesto ancora mia figlia. Non le ho ancora spiegato che in Italia basta "non dire" per essere certi che molte cose siano dimenticate. In compenso basta ripetere spesso altre parole, perché ci si convinca che esistono e appartengono alla coscienza dell'intero Paese. - Credo proprio che sia per imbarazzo - ho risposto. - Certe parole esprimono così tanto che ci vuole molto coraggio per poterle pronunciare. -


3 commenti:

Costantino ha detto...

Quando si parla di ciclismo dei grandi, mi sembra di assomigliare a quello sprovveduto avventore che, spente le luci e terminati per sempre i balli, si fermava a chiedere dove fosse la festa del grande Gatsby.
Ma Pantani nessuno lo potrà cancellare!
Ed ho la speranza che, sconfitto il doping, un nuovo grande ciclismo
possa aiutare a vivere in un mondo migliore.

Soffio ha detto...

Post coraggioso, brava

anto bee ha detto...

Brava Red!