La Stanza Musicale

 Photo Alpsdake

Qualche tempo fa il mio caro amico Dani mi parlò di una pianta di lantana, che se ne stava solitaria su un balcone, in attesa di una fioritura che sembrava ormai un sogno impossibile. E mi raccontò di averne acquistato lui stesso un esemplare e di come l'incontro fra i due avesse dato luogo ad una fioritura abbondante e rigogliosa. Credo accada lo stesso per la creatività. Le idee viaggiano come semi fecondi, si fermano, germogliano e danno vita ad altre idee, in un processo senza fine. È bello farne parte. È bello condividere passioni e visioni, scambiarle, seminarle, ammirarne la fioritura o la qualità superiore acquisita con l'innesto o l'ibridazione. La rete, con i suoi limiti innegabili, ci consente di prendere parte a questo processo e di lasciare una traccia visibile del nostro passaggio, del nostro modo di vedere e sentire le stesse cose che tutti gli esseri umani vedono e sentono. Oggi il mio amico Dani ha creato il suo blog, La stanza musicale. Mi piace pensare che stia per accadere come sul quel balcone, per quella fortunatissima lantana: il mio giardino fiorirà di nuove idee, di nuovo entusiasmo, di nuove percezioni grazie alla comparsa, nelle sue vicinanze, di un altro giardino da scoprire. Al primo sguardo è già una meraviglia e c'è un profumo davvero avvolgente nella breve descrizione che segue il titolo: l'armonia contenuta.....la bellezza in movimento; rende l'idea della bellezza creativa che passa, da un giardino all'altro, da un blog all'altro, da un essere umano all'altro. Bellezza in movimento contenuta nell'armonia di un'idea.
Buon viaggio allora, a tutte le idee, ad ogni singolo pensiero creativo e al mio amico Dani, con un abbraccio fortissimo.


Il suo blog
La stanza musicale


Cantico della sera

(Particolare) 
Conservato presso il


 An Evening Hymn

 Now, now that the sun hath veil’d his light
    And bid the world goodnight;
    To the soft bed my body I dispose,
    But where shall my soul repose?
    Dear, dear God, even in Thy arms,
    And can there be any so sweet security!
    Then to thy rest, O my soul!
    And singing, praise the mercy
    That prolongs thy days.

    Hallelujah!
  
Henry Purcell
da Harmonia Sacra 1688
z 193


 Henry Purcell
An Evening Hymn
Thomas Cooley   tenore
San Francisco Early Music


Ora, ora che il sole ha velato la sua luce
Ed offre al mondo la buonanotte;
Al morbido letto il mio corpo consegno,
Ma dove troverà riposo l'anima mia?
Amato, amato Dio, nelle Tue stesse braccia,
E non può esistere alcun rifugio altrettanto dolce!
Riposa allora, anima mia!
E cantando, loda la misericordia
Che fa molti i tuoi giorni.

traduzione red

"...e la vita che si respira"


25 Aprile


Il fresco umido del mattino
portava lento l'allegria
all'interno di una barca a remi
dal profumo di legno e mare
onde silenziose e cuore in gola
zitto e attento ad ogni spostamento
in un tappeto verde scuro di libertà

Dall'alto della bellezza di un ideale
il sole fa risplendere
di luce
il mare immenso di camicie bianche.
Il vino passa di mano in mano
come una liturgia
insieme al pane e alla certezza
di essere tutti uniti.

Il mare
una corda
una mano
un tremito alle gambe e all'anima
i capelli
il vento
il sole che inizia a lavorare
sulla pelle
sui sorrisi della gente

Bandiere
vento
canzoni
le braccia di mio padre
non sono più tornati
eppure
senti, sono qui.

Erba e fango sulla nuova riva
e la vita che si respira
alza la testa e guarda
la riva è sempre più vicina.

grigioazzurro e red


Piccola Biblioteca Sentimentale

 
Stefano Bollani  "Un giorno dopo l'altro"
da Luigi Tenco

by Mansardo

25 Aprile 1945



" Non so chi fece sapere a mio padre che il 25 di aprile gli Americani avrebbero sfilato sul Passo del Bracco, ma all'alba di quel giorno eravamo già in cammino per raggiungere Mattarana. Mia mamma aveva preparato il giorno prima la torta di riso, che portammo con noi insieme al pane e al formaggio. Mio padre portò anche il suo vino, quello fatto con l'uva "merella", l'uva fragola. Partimmo da casa noi due soli. Mia mamma non venne perchè aveva ancora troppa paura dei militari, di tutti i militari. Così all'alba ci incamminammo di buon passo, raggiungendo Pistone e la mulattiera per Roverano. Scendemmo alle Ferriere, alle spalle di Levanto e da lì risalendo la costa arrivammo a Mattarana, vicino a Carrodano, sul Passo del Bracco. Camminammo per circa tre ore, mentre il sole salendo alto nel cielo rendeva ancora più luminosa quella giornata che non avrei più dimenticato. I boschi intorno erano pieni di gente, che come noi voleva raggiungere la strada del Bracco per vedere lo spettacolo davvero incredibile di una sfilata militare pacifica. Arrivammo verso le nove unendoci a quelli che già stavano lì, provenienti da altre direzioni o dalle case vicine. Aspettammo a lungo, ma nessun carro armato si vedeva in lontananza. A mezzogiorno lungo la strada, sui prati, la gente cominciò ad accomodarsi e a tirare fuori dai fagotti annodati il pranzo portato da casa. Era una festa, lo sentivamo. Si aspettava, chi emozionato, chi intimorito, come se quella sfilata irreale, dopo tanta guerra, avesse potuto delineare il confine fra il prima e il dopo, fra il passato e il futuro, fra la morte e la vita. Nel primo pomeriggio finalmente sentimmo applausi in lontananza, gli Americani erano arrivati. Vidi avanzare lungo la strada, molto lentamente, il primo carro armato, su cui sedevano come arrampicati diversi militari, alcuni dei quali avevano tratti somatici così sconosciuti per me da farmi paura. Mi aggrappai alle gambe di mio padre, avevo 12 anni e il terrore della guerra ancora lo sentivo camminarmi accanto; mio padre sorrise e mi disse di non avere paura, che quelli non erano soldati venuti per uccidere, ma per portare la pace. Appena arrivarono più vicino vidi che portavano anche la cioccolata. Io non avevo mai mangiato la cioccolata. Le caramelle sì, ma la cioccolata era davvero un sapore sconosciuto per me. I soldati gettavano dai carri e dai camion tavolette quadrate e scurissime, dal sapore davvero indimenticabile e intanto ridevano, scoprendo grandi dentature bianchissime. Toglievano i berretti e li lanciavano in aria, salutavano applauditi da un mare di esserei umani ridiventati per quel giorno bambini, chini a raccogliere voracemente la cioccolata e le sigarette americane. La lunga colonna di mezzi militari, di cui facevano parte anche moto, sidecar e numerose jeep, si interrompeva ogni tanto, lasciando credere per un attimo che la sfilata fosse finita, ma un applauso in lontananza, qualche curva più in là, annunciava l'arrivo di altri convogli e la festa continuava. Non ci furono canti o musica in quelle ore; solo le grida, gli applausi, i clacson delle jeep e le campane....i campanili del Santuario di Roverano, della ciesa di Carrodano e Mattarana, suonavano le campane a festa, incessantemente. Ora sì, la guerra era andata via.
Verso le cinque del pomeriggio riprendemmo il cammino verso casa, seguendo il fiume di gente che in direzione contraria rispetto al mattino si divideva in rivoli lungo le mulattiere raggiungendo le case dei monti. Arrivammo a casa che era quasi buio. Da lontano vidi la mia casa, il fumo che usciva dal camino e la lampada accesa. Chiesi a mio padre se i cattivi, i fascisti e i nazisti e tutti quelli che avevano approfittato della guerra per fare altro male, sarebbero tornati ancora a passare davanti alla nostra porta e mio padre disse che no, non sarebbero tornati mai più. Purtroppo nei giorni seguenti vidi ancora uomini con facce da assassini passare dai miei prati, ma non si fermarono mai. Un giorno vedemmo passare un uomo che aveva al braccio un orologio e appeso al collo un paio di scarpe di cui conoscevamo il proprietario; mio padre aspettò che si allontanasse e si inoltrò nel bosco, dove dopo una breve ricerca trovò il corpo senza vita di quel conoscente.
Quella sera però, di ritorno da quella giornata indimenticabile durante la quale avevo toccato con mano la dolcezza della libertà dal fascismo e dalla guerra, mi sentii davvero felice. Ricordo il minestrone buonissimo della mia mamma, la nonna e il nonno che erano ancora con noi, i racconti dei particolari, la gente, i soldati :- ....nonna che labbra spesse che avevano ..e la pelle scura, non tanto ma un po' sì...- la cioccolata che papà aveva portato per quelli a casa e che mangiai ancora, perchè è buona la cioccolata, e non basta mai, come la libertà.Poi, finalmente, andai a dormire felice; avevo trascorso un indimenticabile 25 Aprile, il primo di una lunga serie, grazie a Dio."

Il racconto del primo 25 Aprile dai ricordi di mia madre.

Nascita di un pensiero non compiuto

Conservato presso il British Museum London UK


"...He only knows he holds her;—but what part
Can life now take? She cries in her locked heart,—
“Leave me—I do not know you—go away!”"
 
Dante G. Rossetti da "Found (for a picture)"


Conservato presso il

"Coucher auprès du ciel, comme les astrologues..."



Paysage

Je veux, pour composer chastement mes églogues,
Coucher auprès du ciel, comme les astrologues,
Et, voisin des clochers, écouter en rêvant
Leurs hymnes solennels emportés par le vent.
Les deux mains au menton, du haut de ma mansarde,
Je verrai l'atelier qui chante et qui bavarde ;
Les tuyaux, les clochers, ces mâts de la cité,
Et les grands ciels qui font rêver d'éternité.

Il est doux, à travers les brumes, de voir naître
L'étoile dans l'azur, la lampe à la fenêtre,
Les fleuves de charbon monter au firmament
Et la lune verser son pâle enchantement.
Je verrai les printemps, les étés, les automnes ;
Et quand viendra l'hiver aux neiges monotones,
Je fermerai partout portières et volets
Pour bâtir dans la nuit mes féeriques palais.
Alors je rêverai des horizons bleuâtres,
Des jardins, des jets d'eau pleurant dans les albâtres,
Des baisers, des oiseaux chantant soir et matin,
Et tout ce que l'Idylle a de plus enfantin.
L'Émeute, tempêtant vainement à ma vitre,
Ne fera pas lever mon front de mon pupitre ;
Car je serai plongé dans cette volupté
D'évoquer le Printemps avec ma volonté,
De tirer un soleil de mon coeur, et de faire
De mes pensers brûlants une tiède atmosphère.

Charles Baudelaire


Paesaggio

Voglio, per comporre castamente le mie egloghe,
Coricarmi accanto al cielo, come gli astrologi,
E, vicino ai campanili, ascoltare sognando
I loro inni solenni portati via dal vento.
Le mani sotto il mento, dall'alto della mia mansarda
Vedrò l’officina che canta e che spettegola;
I comignoli e i campanili, questi alberi di città,
E i grandi cieli che fanno sognare dell'eternità.

È dolce, attraverso le brume,veder nascere
La stella nell’azzurro, il lume alla finestra,
I fiumi di carbone salire al firmamento
E la luna versare il suo pallido incantamento.
Vedrò le primavere, le estati, gli autunni;
E quando verrà l’inverno e le sue nevi monotone,
Chiuderò tutte le porte e le imposte,
Per costruire nella notte i miei palazzi fatati.
Allora sognerò di orizzonti bluastri,
Di giardini, di getti d'acqua piangenti negli alabastri,
Di baci, d’uccelli cantanti sera e mattina,
E tutto ciò che l'Idillio ha di più infantile.
Il tumulto, tempestando invano i miei vetri,
Non mi farà levare la fronte dal leggìo;
Perchè sarò immerso in questa voluttà
Di evocare la Primavera con la mia volontà,
Di tirar fuori un sole dal mio cuore e di fare
Dei miei pensieri ardenti un mite cielo.

traduzione: red
Testo originale Poésie française

Buona notte a chi passa da qui...prima di dormire...

 
Vincenzo Bellini  Tre ariette inedite
Vaga luna
Cecilia Bartoli    soprano
Jean Yves Thibaudet   piano

"...tu tiene na vucchella...."

(Particolare) Conservato presso la
Wallace Collection London (UK)



'A vucchella

Si comm'a nu sciurillo
tu tiene na vucchella
nu poco pucurillo
appassuliatella.

Méh, dammillo, dammillo,
è comm'a na rusella
dammillo nu vasillo
dammillo, Cannetella!

Dammillo e pigliatillo
nu vaso...piccerillo
comm'a chesta vucchella

che pare na rusella
nu poco pucurillo
appassuliatella.

Gabriele D'Annunzio



Gabriele D'Annunzio e Francesco Paolo Tosti
'A vucchella
Roberto Murolo
LEANDROcatiessa

"Cortigiani, vil razza dannata..." Placido Domingo

(Particolare) Conservato presso la


teresa59


Torno nell'atmosfera drammatica del secondo Atto di questo memorabile Rigoletto, seguendo un istintivo percorso del tutto personale, e rimango affascinata dalla costruzione estremamente accurata ed evocativa di questa scena. Ho superato l'indecisione iniziale, che mi ha frenato nella scelta del riferimento pittorico, ed ho inserito un dettaglio dalla "Lezione di Anatomia" di Rembrandt, perché l'aspetto dei "cortigiani" che attorniano Rigoletto richiama con prepotenza alla mia mente i volti che emergono da quel dipinto. Tuttavia la tentazione di fare riferimento alla Corte dipinta dal Mantegna , nella Camera degli Sposi del Palazzo Ducale di Mantova, è stata molto forte. Ho ricordato le due sensazioni più intense che ho provato al cospetto degli affreschi della Camera Picta: l'esiguità della stanza e la solennità della Corte dipinta, esaltata proprio da quella. Non c'è negli affreschi del Mantegna un vero e proprio affollamento di volti, che possa trasmettere la sensazione di una Corte numerosa, ma la varietà delle espressioni, alcune delle quali piuttosto altere e distaccate, rende perfettamente l'idea di cosa dovesse comportare trovarsi al cospetto del Duca Gonzaga: l'indiscutibile certezza della propria inferiorità sociale e culturale. Nella scena del Rigoletto questo si avverte chiaramente; nessuno dei cortigiani è in realtà interlocutore del Buffone di Corte, ma le loro espressioni sprezzanti e distaccate danno vita al fossato ideale che separa un buffone dal resto della Corte: Rigoletto è spesso a terra, sopraffatto dalla propria condizione di  inferiorità, che a tratti diventa solitudine e delirio, quasi egli si muovesse fra sagome dipinte in una scena ancor più immaginaria. Mi incanta la disposizione dei "cortigiani", l'insieme di profili e di frontali che sono stati pensati e disposti con cura per dare a chi guarda la sensazione di una scena viva e in movimento; mi incanta e mi dà l'impressione di trovarmi di fronte ad un bozzetto o ad uno studio di Anatomia di Leonardo. A questo punto il richiamo al dipinto di Rembrandt è inevitabile per me: l'aspetto dei cortigiani, la luce, la loro attenzione rivolta unicamente verso un punto della scena pittorica, sono specchio di altri gentiluomini, che hanno la stessa attenzione "dipinta" sui visi, rivolta coralmente verso Rigoletto ed egli, unico attore della propria disperazione, si muove su questa scena così semplice in apparenza eppure così complessa, in cui sembra che il pensiero stesso si faccia tratto visibile e si conceda agli occhi di chi ascolta.


Mantova , 4-5 set 2010 Rai
Rigoletto Placido Domingo
Gilda Julia Novikova
Il Duca di Mantova Vittorio Grigolo
Sparafucile Ruggero Raimondi
Maddalena Nino Surguladze
RAI Orchestra
Zubin Mehta - Marco Bellocchio - Vittorio Storaro

Atlante vivente



Da piccola avevo un libro che amavo sopra ogni altro; passavo interi pomeriggi a sfogliarlo, a percorrerne le pagine con gli occhi, incessantemente. Era un vecchio atlante geografico, dalla rilegatura piuttosto consunta. La copertina rigida telata aveva i bordi slabbrati e le pagine, legate fra loro da un filo ormai privo di tensione, sporgevano da questa quasi a voler scivolare via. Lo portavo spesso con me, ma mi piaceva anche fingere di dimenticarlo nella libreria, per assaporare il piacere di aprirlo e scoprire che era diverso da prima, nuovo. La parte che preferivo sfogliare era quella dedicata ai gruppi etnici principali della specie umana, alle loro caratteristiche somatiche, usi e costumi come si studiava allora nei sussidiari delle "medie". Mi piaceva guardare le fotografie delle donne africane, le varie tribù, i tuareg, cinesi, indiani, aborigeni dagli insospettati capelli biondi, un vero mistero allora per me. Oggi mia figlia sente spesso citare queste parole, nomi di etnie, razze, purtroppo spesso nei telegiornali associate a guerre o disastri ambientali. Temo che questo possa condizionare la sua visione del Mondo. Paradossalmente l'abbondanza di informazioni e i mezzi tecnologici da cui le arrivano possono fornirle un'idea dell'Umanità meno reale, meno prodigiosa e sacra di quanto un vecchio atlante sdrucito potesse fare con me. Fortunatamente per noi, però, esiste quel fenomeno doloroso, controverso eppure meraviglioso che si chiama immigrazione. Grazie ad esso la scuola che mia figlia frequenta risplende di bambini di molte parti del Mondo. Sono così meravigliosamente diversi fra loro, eppure tutti uguali. Ridono con la stessa luce nello sguardo ma ognuno ha nella voce una nota diversa, lontana, nuova. E l'immigrazione, orrenda parola o forse solo inadeguata, ci porta questa musica alla soglia di casa. Così può accadere che un pomeriggio di fine marzo, mentre mia figlia ed io camminiamo lungo il fiume godendo i raggi del sole già caldo, nel via vai di biciclette e atletici camminatori, vediamo passare davanti a noi una figura che non compare semplicemente, ma davvero ci appare, come un piccolo palpito di Bellezza. È un ragazzo di indubbia origine africana; indossa una tuta da ginnastica e scarpe da maratoneta. Attraversa il nostro cammino di corsa, a passo regolare e agile, come di chi corre per agonismo o preparazione atletica. Dal suo saluto ad alcuni ragazzi fermi lì nei pressi comprendiamo che è quasi certamente nato in Italia; un immigrato di seconda generazione, direbbero al tg. Ma quello che ci colpisce, come un vento improvviso, costringendoci a fermarci e ad ammirare quello spettacolo di Bellezza, è il suo modo di correre. Tiene il corpo eretto, con una rigidità  armoniosa. Le falcate sono regolari e non richiedono alcuno sforzo apparente. Sembra rimbalzare sull'asfalto con una leggerezza di danzatore. Il suo braccio sinistro è piegato a novanta gradi e accompagna la falcata con un lieve ritmare del polso; il braccio destro è disteso lungo il fianco, rigido quasi eppure elegante, come se in quella mano portasse una lancia sottile e lunga quanto la sua figura. La testa è alta, la fronte esposta, gli occhi guardano il mondo da un'altezza superiore. Riconosciamo in tutto questo insieme armonico la Bellezza dei Masai. Questo ragazzo porta con sè, vivendo, la traccia genetica della sua cultura d'origine, profonda, bellissima. Mentre si allontana e scompare oltre le auto posteggiate mi pento di non averlo fermato, di non avergli chiesto il nome, la sua origine. Spero di incontrarlo ancora. Vorrei dirgli ciò che ho visto. Vorrei mi confermasse che sa quanto è prezioso quello che porta nel Mondo, anche solo correndo. Sarebbe una dichiarazione di Speranza. Sarà.