Due mari


Due metà di pane carasau accostate su di un piatto, spinacino e pomodoro fresco, olive no perché ho dimenticato di comprarle. Mi piace questo pane sardo, perché è essenziale, apparentemente povero ma capace di inventare sapori di indescrivibile ricercatezza. È come la sua Isola. Nel Sinis, a due passi dalle rovine di Tharros, tempo fa le zanzare hanno banchettato con le mie caviglie, pure quello che mi è rimasto di quel pomeriggio è tutto il resto: il vento, i fiori, la torre, la città di Tharros, così viva che più che in rovina sembra in costruzione. Mi piace il vento sardo. Mi piace come tira da quelle parti. Quando questa foto è stata scattata ero impegnata a farmi attraversare, a farmi ripulire da questo vento come un ippopotamo da un uccello. Stavo lì, con l'anima spalancata e non guardavo con troppa attenzione. Ma da quella mia posizione avrei potuto scendere e scegliere verso quale mare andare, se quello calmo in cui si specchia Tharros, o quello mosso sull'altro versante della penisola. Due mari, ben due mari in uno sguardo solo. A Sestri c'è da tantissimi anni un albergo, posto proprio dove comincia la salita ripida della penisola, che mostra sul tetto un cartello con su scritto a grosse lettere DUE MARI. Il mare però è uno solo, anche se bagna due spiagge, due versanti della piccola penisola di Sestri, è tutto calmo una volta, e tutto mosso un'altra volta. È un'illusione di due mari, anche se a me pare più appropriato dire che è una scopiazzatura piena di ingenuità. Il golfo qui dove vivo copia continuamente la Sardegna, anche adesso che i gozzi non partono più per Porto Torres o Carloforte. È rimasta una specie di impronta fragilissima, fatta di sabbia, della bellezza sarda di là dal mare. A volte, quando sono sull'Isola, penso di non essere nata ligure per caso.