Se sono Sarda






Ieri ho inciampato "per caso" in questi tre video, tre puntate di un programma intitolato "La Sardegna, un itinerario nel tempo di Giuseppe Dessì", girato nel 1963 per la RAI. Non conoscevo questo scrittore, forse ne avevo incontrato il nome nel corso delle mie infinite incursioni nella cultura sarda, ma non lo avevo memorizzato, né avrei saputo ricollegarlo ieri a uno dei suoi libri. Ho guardato il programma per intero, incantata dal modo, lieve e profondo assieme, con cui Dessì racconta la sua Isola. Mentre le immagini scorrevano e con esse i luoghi, i paesi, le città, le distese d'acqua e quelle di terra e sassi, la sensazione di avere qualcosa a che vedere con questa terra si è ripresentata più forte che mai. Perché? Perché ho la sensazione di appartenere in qualche modo a quest'Isola anch'io? Non è solo fascinazione, non è solo l'inevitabile innamoramento che coglie molti forestieri dopo che l'hanno visitata, io sento di avere qualcosa a che vedere con questa terra. E non so cosa sia. Le mie origini sono liguri, anche i miei antenati lo sono da generazioni, eppure tutta la mia vita fin qui è punteggiata di piccole circostanze, attimi sfuggenti in cui questo legame, questo dialogo si è manifestato come fosse una parte costitutiva del mio essere. A scuola, da bambina e poi da ragazza, spesso mi veniva chiesto di leggere ad alta voce e capitava, con una frequenza duplice (un attimo per il mio animo, mesi o anni per il tempo convenzionale), di pronunciare certe parole con le vocali strette e intonare le frasi come fossero discorsi fatti in quella lingua che non conoscevo e non ascoltavo, e regolarmente l'insegnante mi interrompeva sorridendo e mi chiedeva se fossi Sarda di origine. Quando mio padre se n'è andato, tre anni fa, è accaduta la stessa cosa: parlando con un addetto alle camere mortuarie, a Genova, stanca, addolorata come è immaginabile, mi sono sentita chiedere se fossimo Sardi, con un tono che dava chiaramente per scontata la risposta affermativa. Ma è così? Io sono in qualche modo Sarda? Ciò che mi ha spinto ad appoggiare il primo passo sulla terra dell'Isola è stata prima di tutto la curiosità, e ci sono ancora molti luoghi, soprattutto sulla costa, per cui provo un vero sentimento di avventura e amore per la scoperta. Ma l'interno dell'Isola...non so come spiegare... l'interno della Sardegna è un luogo in cui potrei un giorno decidere di scomparire. È il posto al mondo di cui mi fido di più, sebbene non ci abbia mai messo piede. Quando mi metto a immaginare come potrebbe essere il primo approccio con le montagne, con la Sardegna più Sarda, mi prende una specie di inquietudine e non riesco nemmeno a immaginarmi a piedi lungo le sue strade; mi assale un bisogno inspiegabile di cambiare forma e natura, di avere ali, come un falco, e guardarmela tutta dall'alto e poi scendere in picchiata dove più mi piace. Se sono Sarda, di certo vengo da questa parte dell'Isola. Comunque sia, dopo aver guardato questo bellissimo programma ho cercato notizie su Giuseppe Dessì e ho trovato in pdf uno dei suoi libri, "Paese d'ombre". Ho subito iniziato a leggere la prefazione, piena di curiosità, ma altrettanto immediatamente ho dovuto fermarmi, profondamente commossa, perché la prima pagina comincia così:



 «Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun
altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una
funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni gene-
rali e delle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la
grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi
saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del
mondo». Ho tolto il passo che precede dall’ultima delle “lezioni
americane” di Italo Calvino, quella intitolata Molteplicità, e l’ho
riportato qui, in apertura di questa prefazione, perché contiene
concetti che mi sembrano singolarmente adatti ad introdurci al-
la lettura del capolavoro di Giuseppe Dessì. 

Sandro Maxia, Prefazione a Paese d'ombre di Giuseppe Dessì, Nuoro, Ilisso 1998 

Calvino. Naturalmente.

Maigret e il gatto

Gino Cervi e Andreina Pagnani, il signore e la signora Maigret


Piove. Sembra che siamo nuovamente in "allerta arancione", ma non riesco a tenere presente l'inquietudine e le scomodità che questa condizione comporta. Piove ed è bellissimo. Piove ed è come ricevere una risposta tanto attesa. E poi da qualche settimana in casa c'è un gattino. Anche lui come noi adora starsene davanti al fuoco acceso. La prima volta che ha visto la fiamma divampare all'improvviso fra i ciocchi di castagno non ha mostrato alcuna paura, sebbene non avesse mai visto niente del genere prima, anzi mi è sembrato di cogliere una specie di ammirazione nei suoi occhietti attenti, come se mi riconoscesse una dote speciale, la capacità misteriosa e inspiegabile di compiere un prodigio. Siamo noi due soli quando si ripete questo rito e lui siede sulle zampette posteriori, accanto a me, e osserva i miei gesti con diligenza, come se si preparasse a ripeterli da solo. È venuto al mondo da poco e in malo modo, ma è un gatto vero e di grande intelligenza. Da qualche giorno ho notato che qualcos'altro sembra piacergli in modo particolare ed è la voce di Gino Cervi che interpreta Maigret. Alla prima scena di un episodio qualunque si dispone come se volesse ascoltare, ma quando le riflessioni di Maigret riempiono l'aria si lascia scivolare nel ritmo inimitabile, straordinario della recitazione di Cervi e si addormenta. Dorme per tutto il tempo un sonno molto particolare, senza un movimento, senza cambiare posizione. Posso capirlo, anche una parte di me che non so presentare fa lo stesso ascoltando Maigret. Così posso dire che ascoltiamo insieme, nello stesso identico modo, con in più la struggente irrequietezza di non sapere, nessuno dei due, come dirlo all'altro.

Su bolu 'e s'astore

Ho ascoltato per la prima volta "Su bolu 'e s'astore" oltre sette anni fa. Sette anni e mezzo. Quante cose sono cambiate in questo tempo, ma più di ogni altra cosa è cambiato il mio rapporto con la Sardegna. Sette anni fa ascoltavo questo brano e sentivo qualcosa sciogliermi il cuore e non riuscivo a capire come fosse possibile avere nel cuore una terra che non conoscevo affatto, averla nel cuore tanto da commuovermi ascoltando le sue voci. Poi mi sono avvicinata, con passione, con impreparazione, e ho guardato da vicino molti dei suoi colori: il blu del suo cielo altissimo, il nero delle sue maschere popolari, l'oro delle distese di fiori che scendono verso il mare. Grazie alla sua bellezza ho accettato l'ombra che mi ha oscurato il sole per un po', e ho trovato una casa, una terra di appartenenza, per certi miei sentimenti che non hanno mai saputo dove andare a fermarsi. 

Stasera ho riascoltato "Su bolu 'e s'astore" e ho sentito che tutto è profondamente diverso fra noi due, fra la Sardegna e me. È stata sempre sul mio orizzonte nel corso di tutti questi anni, terra ferma e fissa, come la Corsica che dalle fasce più alte dei monti in faccia al mare si vede in lontananza nelle giornate di tramontana. Ho camminato lungo questi sette anni e mezzo con la sua sagoma all'orizzonte, desiderando spesso di attraversare il mare, sospirando a lei tutto l'amore che non avevo mai potuto dire a nessuno. È sempre lì, sul mio orizzonte, anche stasera. Abbiamo più di una relazione adesso, abbiamo un legame. Fra altri sette anni, se potrò, scriverò dove saremo arrivate, o forse non scriverò niente, forse avrò imparato un po' della sua silenziosa eloquenza e non avrò alcun bisogno di parlare.