Conversazione dei sensi (II)


Vermeer non è innamorato di Griet e lei non lo è di lui. Ho avuto la fortuna di ammirare un'infinità di tele, tavole, lamine di rame, pareti incise, sulle quali sono state dipinte dai più grandi maestri della Pittura volti di donna o ritratti di gentiluomini intenti a dimostrare la propria levatura sociale e culturale. In tutti ho avvertito la sensazione  di stare di fronte a qualcuno che ha incaricato un pittore perché lo ritraesse, per comunicare con chi osserva il dipinto, nel tentativo di rendere possibile la propria idea di immortalità. Gli occhi dell'osservatore che incrociano lo sguardo di Agnolo Doni, o dell'uomo col turbante di Van Eyck, sanno di doversi preparare ad un dialogo segreto, in cui il pittore è solo un tramite, un mezzo di comunicazione fra il soggetto del quadro e chi ne gode la bellezza. Lo sguardo di Griet, invece, non è diretto a me, non parla ai miei occhi o al mio cuore, non chiede di comunicare alcunché. La sensazione più forte che ho provato la prima volta che l'ho ammirato, seppure non dal vero, è stato l'imbarazzo di trovarmi al posto di qualcun altro. Griet si rivolge direttamente a  Vermeer, articolando un discorso complesso e ricco di sfumature, espresso in una sintesi sublime, in un dialogo già concluso, lontano nel tempo, ma talmente intenso che mi sembra di avvertire la presenza del Maestro davanti alla tela. Dopo aver compreso questo, mi sono ritrovata a domandarmi in cosa consistesse il loro meraviglioso parlare. Per un certo tempo ho ceduto alla tentazione di pensarlo un romantico colloquio amoroso, fra due persone distanti socialmente  e incapaci, per via delle regole dettate dal loro tempo, di avvicinarsi più di così, come se in questo dipinto fosse racchiusa tutta la loro intimità. Avrebbe potuto essere una teoria accettabile: nel dipinto si avverte moltissimo il carattere femminile del viso ritratto; la tela è la donna, giovane, bella, unica visione nel buio da cui emerge come un miracolo della Creazione. La figura maschile è il tratto, la pennellata che ha disegnato i contorni del viso, evidenziato la delicatezza delle labbra socchiuse e la purezza dello sguardo profondo; questa tela mi appare come un atto d'amore fra un uomo e una donna, ma la totale mancanza di riferimenti alla figura dipinta, di particolari che ne descrivano il carattere o i sentimenti più intimi, mi porta a pensare che fra questi due esseri, indubbiamente uniti, ci sia stato qualcosa di più grande, di più prezioso...e forse la perla è stata scelta proprio per dichiararlo. Ecco allora il segreto di questa tela...ecco in cosa consiste la sua commovente semplicità: è la rappresentazione pittorica, l'unica che io conosca, di un momento sublime nella vita di un uomo e di una donna, un momento raro e prezioso...le loro differenze si annullano, la rispettiva percezione dell'amore si assottiglia, per lasciare il posto ad un istante di pura condivisione della stessa sfumatura di bellezza, vista con gli occhi dell'anima e così intensamente da non poter essere espressa che con un tratto pittorico semplice, immediato, su uno sfondo che è il tutto e l'assenza del tutto allo stesso tempo, così come il nero è la somma di tutti i colori e l'assenza degli stessi. Un incontro di anime che hanno visto lo stesso cielo, raggiunto la stessa altitudine, percepito la dolcezza dello stesso viaggio...nel tempo e nello spazio di una tela dipinta.

Conversazione dei sensi (I)


Quando l'impasto di materia e pensiero, che per me è la struttura di un quadro, entra negli occhi e per questi nel cuore, il corpo vibra nel percepire le diverse emozioni: la mente le trasforma in sensazioni fisiche così che le narici, le pupille, i timpani, il battito cardiaco, il respiro ne sono permeati; in pochi istanti tutto il corpo è predisposto al colloquio silenzioso con il tratto, con il gesto portato, con la scena intera fermata sulla tela o su qualunque altra superficie. Almeno così è per me. Mi avvicino sempre a un dipinto nel modo che ho appena descritto e sempre, tra le molte emozioni che vivo in quell'incontro, ne prevale una ed è questa che in seguito ricordo e che mi rende  indimenticabile un dipinto. Per fare qualche esempio posso citare "La muta" di Raffaello, davanti alla quale le mie orecchie hanno registrato l'assordante silenzio di quel volto vivissimo: un quadro sonoro, al cui cospetto ho provato un forte turbamento nel "vedere" il silenzio, nel "sentire" l'attesa vana ma ugualmente impaziente della parola detta. Oppure le tavole dipinte, i fondi oro senesi, le pale d'altare, i polittici: legno, oro, cere, tempere...tarli, le narici solleticate dal profumo dei materiali, se si potessero toccare avrei senz'altro anche ricordi tattili: liscio colore, ruvido incisione, i rilievi graziosi del gotico fiorito di Gentile da Fabriano. Poi ci sono dipinti per gli occhi, nelle cui scene regna l'armonia del disordine, penso alla "Battaglia di San Romano" di Paolo Uccello, che nella ressa di cavalli e cavalieri esprime per me solo colore...il rosso in particolare, o le tele del Seicento con le loro Assunzioni, i Trionfi mitologici, le Nature Morte, colore, ascese rapidissime dello sguardo nel seguire un volo di cherubini, nel cogliere il lento rotolare di una mela su una tovaglia immacolata; nella visione di una Natura Morta spesso subentra il tatto, la mente crea la percezione del manico cesellato di un coltello, appoggiato su un piatto da chi non ha terminato di sbucciare un frutto...ma in realtà ogni Natura Morta è un paradiso per i cinque sensi, meriterebbe un discorso a parte. Nell'affollato mondo delle mie conversazioni sensoriali ci sono dipinti unici, davanti ai quali provo emozioni esclusive e complesse; uno di questi è "La ragazza con l'orecchino di perla" di Johannes Vermeer, una tela che non ho mai visto dal vero, ma con la quale intrattengo un colloquio sentimentale molto intenso; considero questo dipinto un'istantanea, una fotografia scattata rapidamente per fermare un pensiero, una sfumatura particolare e leggerissima nel colore intenso del Bello. La comparazione di una tela con uno scatto fotografico non è così inconsueta; spesso nei dipinti si ritrova una ricerca del vero, una scelta dei contrasti, delle luci, che richiama l'efficacia di un fotogramma. Nel caso di questa tela il richiamo alla fotografia è tutto nello sguardo in cui guizza un pensiero fulmineo e nel nero dello sfondo, che dichiara inutile tutto il resto, tutto il contorno a quel viso che non è più viso ma emozione, percezione, anima. La lettura dell'omonimo romanzo di Tracy Chevalier è sicuramente all'origine di questo nostro dialogo sentimentale; ho cercato più volte, dopo aver letto il libro, di isolare in questo dipinto la vera natura del rapporto che lega Griet al Maestro; parlare d'amore è riduttivo, pur nella sua sublime complessità, perché Griet non è innamorata di Vermeer e lui non lo è di lei...

"Io vi ringrazio col cuore e con le mani..."




Son lieta che Voi di me non siate malato
e lieta di non esser io malata di Voi,
che la pesante terra nostra mai
svanirà sotto di noi.
Son lieta che tutto possa essere svagato,
senza regole, che non si giochi col prima e col poi,
che non s’avvampi in un’onda senza fiato
al tocco lieve di uno di noi.
Son lieta poi che Voi, con me presente,
possiate prender tra le braccia un’altra,
e che non mi auguriate il fuoco eterno
se non è Voi ch’io bacio.
Che il tenero mio nome, mio caro,
non nominiate giorno e notte invano...
che nel silenzio di una chiesa mai
per noi canteranno lodi a dio.
Io vi ringrazio col cuore e con le mani
per i modi del Vostro amore
ignaro; per le mie notti quiete,
per gl’incontri rari all’ora del tramonto,
per la luna che mai ci vide andare,
per il sole che non ci avvolge il capo,
perché non siete – ahimé – di me malato
ed io malata – ahimé – non son di Voi.

Marina Cvetaeva, 3 maggio 1915
Traduzione: Monica Puleo

Le parole di Marina Cvetaeva nell'incantevole lettura di Monica Puleo


"..e noi siamo saliti quassù a maturarci nel sole."

 
Estate di San Martino

Le colline e le rive del Po sono un giallo bruciato
e noi siamo saliti quassù a maturarci nel sole.
Mi racconta costei – come fosse un amico -
"Da domani abbandono Torino e non torno mai più.
Sono stanca di vivere tutta la vita in prigione."
Si respira un sentore di terra e, di là dalle piante,
a Torino, a quest'ora, lavorano tutti in prigione.
"Torno a casa dai miei dove almeno potrò stare sola
senza piangere e senza pensare alla gente che vive.
Là mi caccio un grembiale e mi sfogo in cattive risposte
ai parenti e per tutto l'inverno non esco mai più."
Nei paesi novembre è un bel mese dell'anno:
c'è le foglie colore di terra e le nebbie al mattino,
poi c'è il sole che rompe le nebbie. Lo dico tra me
e respiro l'odore di freddo che ha il sole al mattino.
"Me ne vado perché è troppo bella Torino a quest'ora:
a me piace girarci e vedere la gente
e mi tocca star chiusa finch'è tutto buio
e la sera soffrire da sola." Mi vuole vicino
come fossi un amico. "Ma posso star sola così?
Giorno e notte – l'ufficio – le scale – la stanza da letto -
se una sera esco a fare due passi non so dove andare
e ritorno cattiva e al mattino non voglio più alzarmi.
Tanto bella sarebbe Torino – poterla godere -
solamente poter respirare." Le piazze e le strade
han lo stesso profumo di tiepido sole
che c'è qui tra le piante. Ritorni al paese.
Ma Torino è il più bello di tutti i paesi
"Se trovassi un amico quest'oggi, starei sempre qui."

Cesare Pavese

dalla Raccolta "Poesie del disamore", Einaudi
Poesie del 1931 - 1940
Georges Seurat, Bagnanti ad Asnières, particolare

Viaggio in Italia in compagnia di Goethe


Vicenza, 22 settembre 1786

L'aria  settembrina è fresca, piacevole e dispone lo spirito alle passeggiate e alla conversazione. La meta scelta da Goethe per oggi è la Rotonda del Palladio, una villa davvero notevole, situata su una collina a circa mezz'ora di strada dalla città:- "Si tratta di un edificio quadrangolare che racchiude una sala tonda, la quale riceve la luce dall'alto" mi aveva anticipato, fra uno scossone a l'altro della carrozza che ci ha condotti qui, trattenendo a stento l'impazienza e l'entusiasmo procurati dal pensiero di visitare per intero un capolavoro palladiano; appena giunti l'impazienza è stata sostituita dalla passione e Goethe ha percorso tutto il perimetro dell'edificio analizzandone minuziosamente i particolari; quindi, ripetendo a mezza voce - Magnifica..magnifica...-, me ne ha fatto un riassunto, credo allo scopo di fissare bene in mente i dettagli da riportare nel suo diario, malgrado io fossi accanto a lui e potessi vedere con i miei occhi. Tuttavia  anche se il nostro viaggio è appena iniziato, comincio a conoscere quest'uomo straordinario, perciò ho sorriso rassegnandomi volentieri ad ascoltarlo:- "Da tutti e quattro i lati si sale per le larghe scale che danno in altrettanti vestiboli, formati da sei colonne corinzie....Lo spazio occupato dalle scale e dai vestiboli è molto più grande di quello della casa stessa; infatti ogni singolo lato basterebbe per una buona facciata anche di un tempio" L'ammirazione, visibile sul suo viso e nella luminosità dello sguardo che accarezzava le architetture della villa, si è smorzata un po' visitando l'interno: Goethe ha rimarcato con malcelato disappunto la scomodità della sala rotonda, se pensata per ospitare una famiglia signorile in villeggiatura. Il suo spirito si è rinfrancato nel godere il panorama sul Bacchiglione, che scorre proprio nelle vicinanze, e sui possedimenti, in verità piuttosto vasti, della famiglia Capra che è proprietaria della villa. Percorrendo il perimetro esterno dell'edificio, Goethe ha copiato su un taccuino le iscrizioni dedicate alla figura del marchese Capra poste sui quattro frontoni e adesso, mentre sediamo a riposarci sotto le querce maestose del parco della Rotonda, le rilegge una di seguito all'altra per farmi notare che ne formano una sola. In particolare si sofferma sulla parte finale e, un po' ironicamente commenta:- "...un uomo che ha potuto disporre a suo talento di tanto denaro, sente ancora di dover sopportare noie e privazioni! Tutto questo, in verità, si può imparare anche più a buon mercato."


E' piacevole stare seduti all'ombra e chiacchierare; Goethe mi parla delle due visite fatte ieri a due persone molto interessanti: il botanico Turra e l'architetto Ottavio Bertotti Scamozzi,  erede di quel Vincenzo Scamozzi che terminò il Teatro Olimpico dopo la morte del Palladio. -"Il  dottor Turra è un uomo di grande finezza e bontà...Per cinque anni egli si è dedicato con passione alla botanica; è riuscito a mettere insieme un erbario della flora italiana ed ha inoltre fondato sotto il Vescovo passato un giardino botanico. Tutto questo però è andato perduto, la pratica della medicina ha preso il sopravvento sulla storia naturale: l'erbario è diventato preda dei tarli, il Vescovo è morto e il giardino botanico è ritornato, come sempre accade, un orto di cavoli e di agli." Dall'architetto Scamozzi, ormai vecchio, Goethe ha goduto dell'emozionante vista dei disegni del Palladio, che l'architetto ha raccolto ed archiviato. Inoltre ha ricevuto indicazioni sulla vera casa del grande architetto di cui , mi confessa con un'ombra di rammarico, vorrebbe possedere il progetto. "Immagino sia una splendida villa nel più puro stile del Maestro - chiedo sorridendo:- E' la più modesta casa del mondo...- mi spiega con un certo compiacimento.
E' tempo di tornare alla locanda, Goethe mi aiuta a salire sulla carrozza che ci aspetta, la splendida Rotonda si allontana sempre più diventando un nuovo, prezioso ricordo di questo viaggio. Questa sera Goethe prenderà parte ad una adunanza dell'Accademia degli Olimpici, in una sala accanto al Teatro e domani andrà a Thiene, per vedere, non senza un certo disappunto, i lavori di costruzione di un edificio nuovo sulla pianta di uno antico. Arriviamo alla locanda in tempo per la cena, il locandiere ci saluta cordialmente informandosi sulla nostra gita alla villa ...mentre mi accingo a salire le scale che portano alla mia camera, non posso fare a meno di sorridere nel sentire Goethe che, particolarmente ciarliero forse per la troppa emozione della giornata trascorsa, si intrattiene col locandiere esprimendo il suo apprezzamento per il carattere dei vicentini...la curiosità mi costringe a fermarmi sui primi gradini per ascoltare:-"...i vicentini... san godersi, fra loro, i vantaggi di una grande città...affabili...e pieni di attenzioni. Le donne mi piacciono in modo speciale... - porto una mano alla bocca per impedire che il mio sorriso diventi sonoro, Goethe e le donne.. :- Non per muovere appunti alle veronesi, che hanno un bel corpo e il profilo così espressivo...ma che sono di color pallido.. A Vicenza invece... creature leggiadre in tutto e per tutto...specialmente quelle coi capelli neri e ricciuti..mi ispirano una simpatia particolare... - Faccio appena in tempo a salire fino al ballatoio e sparire dietro l'angolo, mentre Goethe saluta il locandiere e sale la scala; prima di entrare nella sua camera mi raggiunge davanti alla mia porta e sorridendo mi augura una notte serena;  ricambio volentieri il sorriso, mentre Goethe da vero gentiluomo accenna un inchino col capo e si ritira, soffermando un istante lo sguardo su un ricciolo scuro, scivolato dall' acconciatura sulla mia fronte. 




Brani tratti da
Viaggio in Italia
1786-1788
di Johann Wolfgang Goethe
nella traduzione di Eugenio Zaniboni
Titolo originale dell'opera: Italienische Reise

"Io canto il corpo elettrico..."


"Come vedo la mia anima riflessa nella Natura, come vedo attraverso la nebbia, un Essere dalla inesprimibile completezza, salute, bellezza, vedo il capo ricurvo e le braccia piegate sul petto, 
la Donna vedo."

da "I sing the body electric" (V), Walt Whitman

"L’amore del corpo di un uomo o di una donna è al di là di ogni descrizione, il corpo stesso ne è al di là, quello del maschio è perfetto, perfetto quello della femmina."

da I sing the body electric (II), Walt Whitman
Michelangelo Buonarroti, Volta della Cappella Sistina 
La creazione di Adamo


Luigi Boccherini, La musica notturna delle strade di Madrid, Op.30 n°6

Noi due...


"Noi siamo Natura, a lungo siamo mancati
ma ora torniamo, diventiamo 
piante, tronchi, fogliame, radici, corteccia siamo 
incassati nel terreno
siamo rocce, querce siamo
cresciamo fianco a fianco nelle radure
bruchiamo, due tra la mandria selvaggia
spontanei, come chiunque..."

 

Walt Whitman, Noi due quanto a lungo fummo ingannati

"...fa danzar al bel suon sul prato i fiori."




Zefiro torna
Zefiro torna e di soavi accenti
l'aer fa grato e'il pié discioglie a l'onde
e, mormorando tra le verdi fronde,
fa danzar al bel suon su'l prato i fiori.

Inghirlandato il crin Fillide e Clori
note temprando lor care e gioconde;
e da monti e da valli ime e profonde
raddoppian l'armonia gli antri canori.
Sorge più vaga in ciel l'aurora, e'l sole,
sparge più luci d'or; più puro argento
fregia di Teti il bel ceruleo manto.

Sol io, per selve abbandonate e sole,
l'ardor di due begli occhi e'l mio tormento,
come vuol mia ventura, hor piango hor canto. 
Ottavio Rinuccini
 
 

Zefiro torna, Ottavio Rinuccini (1562 - 1621)
Claudio Monteverdi, Zefiro torna
Voices of Music
Tenori: Thomas Cooley e Christopher LeCluyse 

Il tortello alchemico - 3



Fontanellato conserva ancora il suo fascino antico; a guardarla così, nel sole del primo pomeriggio, sembra che il tempo non sia passato e le eleganti proporzioni della Rocca Sanvitale, il suo fossato che richiama alla mente cavalieri in armi e dorati finimenti  sui cavalli, tolgono ogni eventuale dubbio sulla fama di centro di cultura ed arte raffinata di cui questa piccola corte poté godere sotto il governo di Gian Galeazzo Sanvitale. Entriamo nel cortile interno, passando sotto un arco decorato ad affresco; qua e là si possono ancora vedere, ottimamente restaurati, preziosi frammenti di decorazione murale. La visita agli ambienti si articola in due parti: gli appartamenti del piano nobile e lo stanzino di Diana, che curiosamente si trova al primo piano. Cominciamo dalle stanze del piano nobile, dove sono conservati dipinti ed oggetti legati alla storia della Rocca. Verso la fine del percorso, passando per una sala, la mia attenzione è catturata da un paio di ventagli settecenteschi, deliziosi, appoggiati su una mensola; proseguiamo il giro e finalmente arriviamo al piano inferiore, dove una piccola coda di visitatori, per lo più stranieri, attende disciplinatamente il proprio turno per entrare nello stanzino. Mi dispongo ad una breve attesa, infatti può accedervi un numero limitato di persone, date le sue ridottissime dimensioni; ne approfitto per osservare l'anticamera che ci ospita..è anch'essa piuttosto angusta, le porte sono basse e strette; lo faccio notare al mio accompagnatore, il quale bisbigliando mi spiega che quell'area della Rocca era destinata al personale di servizio, ad un uso funzionale, non certo ad accogliere nobili in visita. Davvero non capisco...scruto con insistenza l'ingresso allo stanzino, oltre le teste dei visitatori in attesa:- Doveva avere un motivo davvero particolare il conte Sanvitale, per farsi affrescare un locale così angusto in un punto così nascosto della sua Rocca - sussurro al mio accompagnatore.
Finalmente entriamo... la prima sensazione che mi assale letteralmente, quasi inconcepibile in un luogo così chiuso e stretto, è di trovarmi all'aperto, tra le fronde di un mitologico bosco; l'affresco sovrasta la mia testa, mi volto seguendone lo svolgersi pittorico e narrativo, compiendo un giro completo su me stessa e l'intensità dei colori in perfetto stato di conservazione, la forza delle figure...tutto mi travolge e mi trasporta in quel bosco, sotto quelle piante..divento spettatrice della scena, di più..partecipe della sua rappresentazione. Sono senza parole per la bellezza che ho di fronte; c'è una freschezza nei toni delle foglie, nell'incarnato di Diana, nell'eleganza selvatica del cervo Atteone, che la mia curiosità sull'alchimia, sulla simbologia dolorosa non ha più alcun senso: la Bellezza è l'unica ragione dell'esistenza di questi affreschi, la Bellezza e il piacere intenso che conforta l'animo di chi l'ammira. Il mio accompagnatore mi sorride, non è impreparato ai miei turbamenti "pittorici", poi mi prende dolcemente per un braccio e mi sospinge verso il lato dello stanzino da cui si può godere l'inizio del racconto affrescato. Mi indica una scritta, che corre lungo tutto il perimetro e funge da fregio all'affresco vero e proprio: sono parole di Ovidio, dalle Metamorfosi, mi spiega; il significato è più o meno questo: Oh Dea, perché se Atteone è giunto qui solo per caso, tu lo dai in pasto ai suoi cani per punizione? Solo una colpa giustifica un tale castigo, una tale ira non è motivo per una Dea:- Già nella scritta c'è un riferimento molto chiaro al lutto che colpì i coniugi Sanvitale e Paola Gonzaga in particolare, in quanto madre; la perdita di un figlio è sempre inaccettabile, la sua ingiusta ferocia è rappresentata proprio dal cacciatore senza colpa, che per caso incontra  e guarda una Dea, per gioco del fato osa l'inaccettabile..e viene punito ingiustamente, come ingiusta è la punizione inflitta alla madre cui viene sottratto il bene più prezioso:- Ma non basta - prosegue la mia guida - alza lo sguardo e percorri le lunette che interrompono le varie scene: vedi le due coppie di bambini? Rappresentano i quattro figli della coppia e uno di loro indossa una collana di corallo, tenendo in mano ciliegie. Sono due simboli iconografici molto espliciti: le ciliegie rappresentano la morte, o anche il Cielo inteso come Paradiso; il corallo già nel Medioevo era ritenuto  efficace contro le malattie infantili, gli si attribuivano molte proprietà - Poi mi porta verso una figura femminile, che gli esperti ritengono essere il ritratto di Paola Gonzaga, anche questa reca un simbolo inequivocabile: tiene tra le dita due spighe, di cui una spezzata - Chiaro riferimento al suo terribile lutto- conclude il mio accompagnatore. Ma Paola ha nell'altra mano una coppa, che si potrebbe identificare con un calice eucaristico...e le spighe ne potrebbero essere il completamento simbolico. La mia guida annuisce e ribadisce quanto sia aperta la strada alle interpretazioni in questo piccolo, nascosto gioiello dipinto; poi mi riconduce alla pittura, facendomi notare nel tratto del Parmigianino l'impronta forte  del Correggio:- L'impostazione di questi affreschi, la decorazione della volta che imita l'intreccio di canne, ricordano molto gli affreschi del Correggio nella "Camera della Badessa" presso il Convento di San Paolo a Parma; si ritiene che il Parmigianino abbia potuto vedere quella stanza  e che ne sia stato molto influenzato ... - Il tempo a nostra disposizione è terminato, prima di lasciare lo stanzino di Diana, ma dovrei dire a questo punto di Paola, concedo allo sguardo di ripercorrere il tracciato di bellezza viva dei colori e delle figure dipinte; Parmigianino... Correggio....mentre usciamo nel dolce sole del tardo pomeriggio non posso fare a meno di canticchiare fra me la strofa iniziale di un  brano di Paolo Conte :- Il Maestro è nell'anima e dentro all'anima per sempre resterà... - La Rocca, con i suoi segreti svelati solo in parte, si specchia austera e bellissima nell'acqua ferma del fossato.


Photo: Red
Affreschi della "Camera della Badessa" 
Convento di San Paolo, Parma

Per chi ama scoprire i segreti che si celano dietro le opere d'arte, ecco un link interessante che vi porterà ad esplorare l'affascinante ipotesi di un legame pittorico e simbolico tra la figura storica di Paola Gonzaga e il dipinto "Madonna dal collo lungo" del Parmigianino, conservato presso la Galleria degli Uffizi a Firenze.

La Musica Notturna Delle Strade Di Madrid...



Luigi Boccherini, La musica notturna delle strade di Madrid, n°6 Op.30
dal film "Master and Commander"

"Così tra questa immensità s'annega il pensier mio..."


L'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.


Giacomo Leopardi

 

Giacomo Leopardi, L'infinito

"Che farò lontan da te pena dell'anima..."



Pena del Alma

Che farò lontan da te pena dell'anima
senza vederti, senza averti, nè guardarti
anche lontano non vorrò dimenticarti
anche se è ormai impossibil il nostro amor

Come levare via il profumo al fiore?
Come togliere al vento l'armonia?
Come negar che ti amo vita mia?
Come togliermi in petto questa passion?

E a veder che crudel destino ora ne viene
ma che l'ombra ora ci prenda più mi addolora
Il mio cuore mi dice che non può seguirti ancora
e nemmeno questa angustia sopportar

Come levar alle stelle via il bagliore?
Come impedir che corra il fiume al mare?
Come negar che soffre il petto mio?
Come levar dall'anima questa passion?

Come levare via il profumo al fiore?
Come togliere al vento l'armonia?
Fuori dalle braccia tue sulle ginocchia mie
così levarmi in petto questa passion?
Fuori dalle braccia tue sulle ginocchia mie
così levarmi in petto questa passion?

Vinicio Capossela



 Giovanni Boldini, Profilo di donna
Vinicio Capossela, Pena del alma
da "Prenda del Alma" canzone tradizionale messicana
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La speranza di vita che porti con te


 Elis Regina, Águas de Março
Video: zonasinlimites 

"Un volo di cirri nel cielo azzurro..." dedicato a Piero

 
Cirri

 Un volo di cirri
nel cielo azzurro
segue le rondini che vanno là...
dove la forza che han dentro
le spinge.
Si spostano e vanno, 
si spostano e vengono.
Sono come il pensiero
che corre su tutto;
sul bene e sul male
nel chiaro e nell'ombra.
E si ferma là...
dove nessuno può dire s'è bene,
dove nessuno sa dire s'è male.

Emilio Benincasa



Emilio Benincasa, Cirri
dalla raccolta "Tra il vento e la pioggia"
P. I. Tchaikowsky, Il valzer dei fiori

"...e sento un amore più grande..."



 Febbraio, 1820

Mio dolce amore, aspetterò pazientemente fino a domani prima di vederti e nel frattempo, se mai ce ne fosse bisogno, ti assicuro per la tua Bellezza, che ogni volta che ho scritto su un certo spiacevole argomento, l'ho fatto con il tuo bene impresso nella mia mente. Quanto avrei dovuto essere offeso, se tu mai avessi assentito a ciò che è, non di meno, tanto ragionevole! Quanto di più ti amo come ultima conseguenza! Nelle mie attuali condizioni di salute mi sento oltremodo separato da te e potrei quasi parlarti con le parole del fantasma di Lorenzo per Isabella

   La tua bellezza mi attrae sempre di più e sento
   Un amore più grande insinuarsi per tutta la mia essenza

Il mio più gran tormento fin da quando ti ho conosciuta è stato il timore che tu fossi un poco incline ad esser come Cressida; ma allontano totalmente quel sospetto e rimango felice nella certezza del tuo amore, che ti assicuro essere per me tanto meraviglia quanto delizia. Inviami le parole "Buona notte" da porre sotto il mio guanciale.


Carissima Fanny
Tuo affezionato
J.K.



Dalle lettere di John Keats a Fanny Brawne
Traduzione: Carmelo Mangano e Red
Frédéric Chopin, Notturno in si bemolle minore Op. 9  n°1
Piano:  Claudio Arrau

Erbario dei pensieri, la giunchiglia di luce


"Vagavo solitario come una nuvola
fluttuante nell'alto su valli e colline

Quando d'un tratto vidi una folla
una moltitudine di giunchiglie d'oro

Vicino al lago, sotto gli alberi
ondeggianti e danzanti alla brezza..."


Photo: Dénes Emoke
brano da 
William Wordsworth, The daffodils
Traduzione: Red
Pierre - Joseph Redouté, Jonquilles
W. A. Mozart, Concerto per Clarinetto 
Karl Leister, III Rondò



In love with Shakespeare (12)


Sonnet CXLV

Those lips that Love's own hand did make,
Breathed forth the sound that said 'I hate',
To me that languished for her sake:
But when she saw my woeful state,
Straight in her heart did mercy come,
Chiding that tongue that ever sweet
Was used in giving gentle doom;
And taught it thus anew to greet;
'I hate' she altered with an end,
That followed it as gentle day,
Doth follow night, who like a fiend
From heaven to hell is flown away.
   'I hate', from hate away she threw,
   And saved my life, saying 'not you'.


Sonetto 145

Quelle labbra che la mano stessa d’Amore fece
emisero un suono che diceva “Io odio”
a me che per amor suo languivo;
ma quando lei vide il mio penoso stato,
subito mercè scese nel suo cuore
biasimando quella lingua che,nella sua dolcezza,
soleva esprimere giudizi gentili,
e così le insegnò a interpellarmi nuovamente:
“Io odio” lo cambiò con un finale
che gli seguì come il giorno gentile
segue alla notte che, simile a un demonio,
vola via dal cielo nell’inferno.
“Io odio” lo affrancò dall’odio,
e salvò la mia vita dicendo “non te".



Lorenzo Lotto, Venere e Amore, particolare
Testo: Shakespeare's sonnets
Traduzione: Black wings
Claudio Monteverdi, Sì dolce è 'l tormento
Voices of music

"...tutto l'amore che può stare dentro una vita."



Della memoria non si butta niente. 
L'importante è che ogni tassello abbia la sua giusta collocazione. Come un mosaico, come un puzzle. Perchè il passare degli anni ha il compito di sbriciolare anche i ricordi. Come una facciata che perde prima il colore e poi l'intonaco, diventando un muro irriconoscibile come tanti altri, nudo, inerme, pronto per essere ingoiato dall'oblìo che, come un impietoso rampicante, lo avvolge e lo nasconde alla vista. 
E allora le tessere della memoria devono incastrarsi bene, per resistere all'assalto del tempo il più a lungo possibile.

Seduto sulla sabbia, con la testa appoggiata a una roccia, ti viene in mente perché la notte scorsa non hai dormito. Troppe brutte notizie, ieri. Vite spezzate o deturpate da violenza, malattie, degrado. E' come se la fragilità e la provvisorietà della vita stessa ti fossero cadute addosso all'improvviso, con tutto il loro ineluttabile peso.
In un attimo si può passare dalla serenità all'angoscia. Dalla vita alla morte. Non ti è ancora ben chiaro, ma hai cominciato a intuire che dispiaceri, spaventi e lutti servono ad apprezzare di più la quotidianità, i gesti semplici di chi ti vuol bene, un sorriso sconosciuto. Sono insostituibili momenti di crescita, dolorosi come tutti i passaggi della vita che ci cambiano, duri e privi di lusinghe, apparentemente disperati.
Mentre sei immerso nei tuoi pensieri senti il labrador abbaiare davanti alla scogliera. Ti alzi e ti avvicini a lui, lo accarezzi e gli chiedi "Cosa hai trovato?". Con un guaito quasi festoso, scodinzolante e trepidante, ti indica con il muso un pezzo di carta piegato nascosto tra due rocce. Lo prendi e lentamente lo apri.
Molto lentamente. E' sicuramente lì da molto tempo, quasi incartapecorito, un po' ingiallito. Devi maneggiarlo con molta attenzione per evitare che ti resti in mano soltanto un mucchio di coriandoli.
Leggi il messaggio e capisci subito che si tratta di una delle lettere dell'uomo rimasto bambino.
Un'improvvisa brezzolina ti spettina con discrezione. L'uomo rimasto bambino...Abbassi lo sguardo e cerchi di ricordare la sua storia.
Enzo, il suo vero nome, oggi ha 40 anni e vive per strada. Parla da solo, scrive poesie su un vecchissimo quaderno a righe e le offre ai passanti in cambio di qualche spicciolo per sopravvivere.
Tanti anni prima, quando aveva soltanto dodici anni, Enzo tutte le settimane d'estate accompagnava il padre a fare pesca subacquea. Arrivavano insieme la mattina presto, quasi sempre la domenica, e, mentre il padre si immergeva nel tratto di mare davanti alla costa, Enzo restava seduto su una roccia ad aspettarlo, ammirato e orgoglioso. All'ora di pranzo facevano rientro a casa con il pescato e per tutto il tragitto Enzo chiedeva al padre quanto erano belli i fondali, se era stato difficile catturare le prede, e prometteva che un giorno sarebbe stato lui a portare ai suoi genitori il pesce fresco tutte le settimane.
In quelle domeniche d'estate del 1980, padre e figlio ebbero appena il tempo di conoscersi, di tenersi per mano e parlare del futuro.
Ma una cosa è parlare del futuro, altra cosa è viverlo.
Una domenica mattina di fine agosto, una bellissima giornata di sole, il padre si mise la muta, entrò in acqua e, prima di sistemarsi il boccaglio, salutò come sempre il ragazzino che lo fissava dalla riva. Poi sparì nel mare calmo e luccicante. Per l'ultima volta.
Come facciamo a sapere quando è l'ultima volta che diamo un bacio in fronte ai nostri figli, guardiamo negli occhi nostra moglie, ne sentiamo il profumo, le passiamo una mano tra i capelli?
Enzo restò ad aspettarlo, immobile sulla solita roccia, quasi fino all'imbrunire, con gli occhi fissi sul mare e sulle barche improvvisamente numerose, finché uno zio non lo riportò a casa provando a convincerlo che il padre aveva avvisato che sarebbe tornato più tardi perché aveva trovato una zona particolarmente pescosa e ci avrebbe impiegato molto più tempo.
Da quel giorno, per cinque anni, Enzo è tornato tutte le domeniche ad aspettare il genitore, seduto sullo stesso scoglio portando ogni volta con sé un biglietto, da lasciare tra le rocce, nel quale raccontava al padre quello che succedeva in casa mentre lui era a pesca. Molti di quei messaggi sono andati perduti, strappati e dispersi dalle onde, mangiati dal vento e dalla salsedine.
Guardi l'orizzonte e ricordi che anni fa trovasti un altro biglietto, uno dei primi. Ne ricordi perfettamente il contenuto. "Ciao papà, come stai? Chissà quanti pesci hai già preso e che fondali meravigliosi devi aver trovato! Mamma dice che sicuramente stai bene e ci pensi sempre. So anche io che è così, perché sai che noi ti stiamo aspettando per farci una grande mangiata di pesce. Mi raccomando, stai attento...hai sempre detto anche tu che in mare non ci si deve fidare mai. Se riesci a farmi sapere quando torni mi porterò dietro la macchina fotografica per farti una foto quando esci dall'acqua con tutti i pesci. Voglio far morire d'invidia i miei compagni di scuola! Ciao papi, ti voglio bene. Saluti anche da mamma. Enzo"
Hai gli occhi umidi, come potrebbe essere altrimenti?, e rileggi il biglietto che hai appena trovato. Forse l'ultimo scritto dall'uomo rimasto bambino.
"Papà, se puoi torna subito, per favore. Adesso abbiamo bisogno di te. Ti ricordi gli esami che doveva fare mamma? Martedì ritira i referti. E' molto triste e credo che ti vorrebbe vicino. Mi ha detto che andrà a ritirarli a piedi e che spera sia una giornata molto luminosa perché al ritorno avrà bisogno degli occhiali da sole. Te l'ho detto, è molto triste, papà. Perciò torna presto, appena puoi. Non fa niente se hai poco pesce. Ho capito, sai, che non hai pescato molto, altrimenti non saresti rimasto tanto tempo in acqua. Non fa niente, papà. Mangeremo quello che c'è e staremo vicino alla mamma, è più importante. Fammi sapere, ti aspetto al solito posto. Ciao. Enzo".
Poche settimane più tardi anche la madre si arrese. Enzo fu affidato a parenti svogliati e per niente intenzionati a gestire il suo disagio.
In poco tempo fu inevitabilmente internato. Troppi anni vissuti senza qualcuno che gli augurasse la buonanotte o gli rimboccasse le coperte. Troppe le ore passate su quella roccia, davanti a domande senza risposte.
Oggi tutto quello che possiede l'uomo rimasto bambino è un quaderno delle elementari dove scrive poesie, rubate ai suoi anni rubati.
Si è alzato un po' di vento. Ripieghi il foglietto e lo rimetti tra gli scogli, un po' più nascosto. Pensi che sia giusto che resti dove Enzo volle custodirlo.
Il tuo labrador, nel frattempo, ha ripreso a giocare con le onde della risacca.
Vorresti che il tempo si fermasse o perlomeno non alterasse mai la tua capacità di godere dei piccoli gesti, della presenza di chi ti ama, dell'amore di chi è assente.
Sai bene invece che il tempo non è illimitato e la mano che adesso stringi un giorno lascerà il posto a petali di rosa, morbidi e profumati. Prima di quel giorno, che non sai quando arriverà, se non vuoi avere rimpianti devi aver vissuto tutto l'amore che può stare dentro una vita.


Mansardo 

Painting: Winslow Homer
Testo: Mansardo
Video: ilproiettore

"e nel sole che v'investe, riviere, rifiorire!"



Riviere,
bastano pochi stocchi d'erbaspada
penduli da un ciglione
sul delirio del mare;
o due camelie pallide
nei giardini deserti,
e un eucalipto biondo che si tuffi
tra sfrusci e pazzi voli
nella luce;
ed ecco che in un attimo
invisibili fili a me si asserpano,
farfalla in una ragna
di fremiti d'olivi, di sguardi di girasoli.

Dolce cattività, oggi, riviere
di chi s'arrende per poco
come a rivivere un antico gioco
non mai dimenticato.
Rammento l'acre filtro che porgeste
allo smarrito adolescente, o rive:
nelle chiare mattine si fondevano
dorsi di colli e cielo; sulla rena
dei lidi era un risucchio ampio, un eguale
fremer di vite
una febbre del mondo; ed ogni cosa
in se stessa pareva consumarsi.

Oh allora sballottati
come l'osso di seppia dalle ondate
svanire a poco a poco;
diventare
un albero rugoso od una pietra
levigata dal mare; nei colori
fondersi dei tramonti; sparir carne
per spicciare sorgente ebbra di sole,
dal sole divorata...
Erano questi,
riviere, i voti del fanciullo antico
che accanto ad una rosa balaustrata
lentamente moriva sorridendo.

Quanto, marine, queste fredde luci
parlano a chi straziato vi fuggiva.
Lame d'acqua scoprentisi tra varchi
di labili ramure; rocce brune
tra spumeggi; frecciare di rondoni
vagabondi...
Ah, potevo
credervi un giorno o terre,
bellezze funerarie, auree cornici
all'agonia d'ogni essere.
Oggi torno
a voi più forte, o è inganno, ben che il cuore
par sciogliersi in ricordi lieti - e atroci.
Triste anima passata
e tu volontà nuova che mi chiami,
tempo è forse d'unirvi
in un porto sereno di saggezza.
Ed un giorno sarà ancora l'invito
di voci d'oro, di lusinghe audaci,
anima mia non più divisa. Pensa:
cangiare in inno l'elegia; rifarsi;
non mancar più.
Potere
simili a questi rami
ieri scarniti e nudi ed oggi pieni
di fremiti e di linfe,
sentire
noi pur domani tra i profumi e i venti
un riaffluir di sogni, un urger folle
di voci verso un esito; e nel sole
che v'investe, riviere,
rifiorire!

Eugenio Montale


 

Photo: Fabio , Le Cinque Terre
Eugenio Montale, Riviere
Voce: Vittorio Gassman

Viaggio in Italia in compagnia di Goethe



Vicenza, 19 settembre 1786

Non dimenticherò mai la via che da Verona ci ha condotti qui, a Vicenza, molte circostanze me la rendono indimenticabile, non ultima l'averla percorsa insieme ad  un compagno di viaggio entusiasta e colto qual è il mio adorato Goethe. Dal momento della partenza e per tutto il tragitto egli ha annotato, con il consueto acutissimo spirito di osservazione, ogni cambiamento del paesaggio, ogni sfumatura di colore e profumo nella vegetazione abbondante, sottolineando ogni momento, con passione e ammirazione per tutto ciò che è espressione di italianità. Goethe ama davvero l'Italia; il suo sguardo, così preciso e puntuale, non scruta i dintorni con la severità critica di uno straniero in viaggio, ma anzi accarezza dolcemente, direi amorevolmente, il profilo dei contrafforti sabbiosi e calcarei che scorrono a sinistra insieme ai monti, le file di alberi lungo la strada ampia e battuta, la colorata e vociante presenza dei contadini e della gente di ogni sorta che incontriamo lungo la strada. Seduto di fronte a me nella piccola carrozza che ci ospita, Goethe non smette di attirare la mia attenzione su tutto ciò che ci circonda con esclamazioni di meraviglia, o con un lieve tocco della mano sul mio braccio appoggiato al finestrino: gesto tanto inconsueto per un uomo del nord quanto lusinghiero ai miei occhi, perché da questo intuisco il piacere sincero che egli prova nel dividere con me questa avventura italiana. Ecco i paeselli e i casolari sparsi sulle colline ai piedi dei monti; ecco la vasta pianura a destra e le lunghe file di alberi cui si aggrappano i tralci delle viti; ecco il profumo dell'uva matura, il suono chiassoso della strada piena di gente, i carri che trasportano i tini vuoti pronti per la vendemmia, dall'interno dei quali i carrettieri guidano il tiro a quattro dei buoi, strappando  a Goethe esclamazioni di piacevole sorpresa e pittorici paragoni a visionari trionfi  di Bacco.  



Ormai non mi stupisco più della grande vitalità di Goethe. Dopo un viaggio sufficientemente comodo ma molto intenso e fitto di novità, speravo candidamente in un meritato riposo, ma circa mezz'ora dopo il nostro arrivo a Vicenza  un leggero bussare alla porta della mia camera mi avvisa che Goethe mi sta aspettando da basso. Lo raggiungo e scendendo i gradini lo vedo sorridente, ai piedi della scala che porta alle camere della locanda, il viso acceso dall'entusiasmo di essere giunto qui, nella città dove la sua Mignon canterà i fiori di limone. Ha tra le mani un libricino rilegato, che agita nel salutarmi: è un volumetto corredato di incisioni, che guida i visitatori all'incontro con le bellezze artistiche di Vicenza; a Goethe sembra molto interessante e me lo mostra soddisfatto, mentre a passi lesti ci dirigiamo verso l'uscita. Vicenza ci accoglie con i suoi colori, ma Goethe non ha che un nome in mente e i suoi occhi sono brillanti come stelle quando sorridendo lo pronuncia: Andrea Palladio...<< ...un uomo straordinario, sia per quello che che ha sentito in sé, sia per quello che ha saputo esprimere fuori di sé >>. Ammiriamo il Teatro Olimpico, ultima grande opera del Maestro, terminata dopo la sua morte dall'architetto Vincenzo Scamozzi;  la vista delle costruzioni palladiane in città spinge Goethe a numerose riflessioni sulla difficile convivenza di tali capolavori con altre brutture sorte al loro fianco. Non manca di notare quanto l'edilizia dimentichi spesso e volentieri il suo legame con la madre architettura e indulga facilmente nell'accontentare le spesso assurde richieste dei ricchi committenti, a scapito della Bellezza e delle preziose regole della grammatica architettonica. Rientriamo dalla passeggiata giusto in tempo per cenare; più tardi avremo l'occasione di ammirare con tutta calma l'interno del Teatro Olimpico, con le sue splendide scene lignee d'epoca rinascimentale, potremo godere la bellezza delle sue architetture ascoltando "Le tre Sultanine" e  "Il Ratto dal serraglio" di W. A. Mozart. Per la prima volta ceniamo da basso, nel brusio contagioso degli altri avventori; Goethe mi sorride, sollevando il bicchiere che ha appena accolto il profumato vino dei colli vicentini: ricambio volentieri il suo sorriso e unisco il mio bicchiere al suo nel brindisi...il suono cristallino del vetro lucente mi sembra un anticipo di mozartiane armonie.


Il canto di Mignon

Conosci tu il Paese dove fioriscono i limoni
Nel verde fogliame splendono arance d'oro
Un vento lieve spira dal cielo azzurro
Tranquillo è il mirto, e sereno l'alloro
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, o mio signore, andare!
Conosci tu la casa? Su colonne riposa ilsuo tetto
La sala splende, rifulgono le stanze,
Statue di marmo immobili mi guardano:
Ma a te, povera bimba, cosa hanno fatto?
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Vorrei con te, mio signore, andare!
Conosci il monte, il sentier che gira nelle nuvole?
Cerca il mulo la strada nella nebbia
Nelle rotte si cela la stirpe dei draghi
La roccia precipita, su di essa il torrente:
Lo conosci tu bene?
Laggiù, laggiù
Porta il sentiero, signore, andiamo!

J. W. Goethe





Brani tratti da
Viaggio in Italia
1786-1788
di Johann Wolfgang Goethe
nella traduzione di Eugenio Zaniboni
Titolo originale dell'opera: Italienische Reise
 Ottavio Bertotti Scamozzi 
Le fabbriche e i disegni di Andrea Palladio...
Versi: J. W. Goethe, Il canto di Mignon 
dal romanzo 
"Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister"
Robert Schumann, Lieder "Mignon" Op. 98a n°1

"...e antiche brame trascorrono nel sangue..."


Torna

Torna sovente e prendimi,
palpito amato, allora torna e prendimi
che sia ridesta viva la memoria del corpo 
e antiche brame trascorrono nel sangue
all'ora che le labbra ricordano, e le carni,
e nelle mani un senso tattile si riaccende.
Torna sovente e prendimi, la notte,
all'ora che le labbra ricordano, e le carni...

Konstantinos Kavafis


Painting: Rogier van der Weyden (1400?-1464), particolare
Konstantinos Kavafis, Torna
Voce: Marcello Sacerdote

Se comandasse Arlecchino...


 

Il gioco dei se

Se comandasse Arlecchino
il cielo sai come lo vuole?
A toppe di cento colori
cucite con un raggio di sole.

Se Gianduia diventasse
ministro dello Stato,
farebbe le case di zucchero
con le porte di cioccolato.

Se comandasse Pulcinella
la legge sarebbe questa:
a chi ha brutti pensieri
sia data una nuova testa. 

Gianni Rodari

Buon Carnevale a tutti!


Ferruccio Soleri, Arlecchino servitore di due padroni
di Carlo Goldoni
Gianni Rodari, il gioco dei se

"Sopra i tetti, a migliaia le nuvole bianche..."


Canzone

Le nuvole sono legate alla terra ed al vento.
Fin che ci saran nuvole sopra Torino
sarà bella la vita. Sollevo la testa
e un gran gioco si svolge lassù sotto il sole.
Masse bianche durissime e il vento vi circola
tutto azzurro - talvolta le disfa
e ne fa grandi veli impregnati di luce.
Sopra i tetti, a migliaia le nuvole bianche
copron tutto, la folla , le pietre, il frastuono.
Molte volte levandomi ho visto le nuvole
trasparire nell'acqua limpida di un catino.
Anche gli alberi uniscono il cielo alla terra.
Le città sterminate somiglian foreste
dove il cielo compare su su, tra le vie.
Come gli alberi vivi sul Po, nei torrenti
così vivono i mucchi di case nel sole.
Anche gli alberi soffrono e muoiono sotto le nubi
l'uomo sanguina e muore,  ma canta la gioia
tra la terra ed il cielo, la gran meraviglia
di città e di foreste. Avrò tempo domani
a rinchiudermi e stringere i denti. Ora tutta la vita 
son le nubi e le piante e le vie, perdute nel cielo.

Cesare Pavese




Andrea Mantegna, San Sebastiano (1470 ca.) particolare
Cesare Pavese, Canzone 
dalla raccolta "Poesie del disamore"- Einaudi
Voce: Domenico Pelini